Giugliano. Boss pazzo per finta, in carcere lo psichiatra che avrebbe rilasciato false attestazioni

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Giugliano. Falsi certificati medici, in cambio di uno sconto sulle tangenti quando si trattava di aprire un centro clinico privato nella zona di competenza del clan. Eccolo lo scenario che emerge dall’ultima inchiesta condotta sul clan Mallardo. Coinvolti soggetti eccellenti, tra cui il medico del dipartimento salute mentale Asl Napoli due, finito ieri in cella con accuse choc: si chiama Gennaro Perrino e avrebbe garantito, con false attestazioni, una pensione di invalidità (con tanto di indennità di accompagnamento) a Vincenzo D’Alterio, presunto capoclan dei Mallardo. Settecento euro al mese, un vitalizio. Operazione big sick (grande malato), la camorra in ospedale, secondo quanto raccontato dal pentito Giuliano Pirozzi. Che punta l’indice contro il ruolo del medico Perrino (nella vicenda è coinvolto anche il collega Cladio Radente), per la finta invalidità dell’uomo del clan. Vicenda complessa, che va raccontata da una premessa: tutti i soggetti coinvolti potranno dimostrare le proprie ragioni nel corso del seguito delle indagini, a partire dagli interrogatori di garanzia. Dodici ordinanze di custodia, di cui 8 in carcere e 4 agli arresti domiciliari; beni per un valore di circa otto milioni di euro sequestrati al termine delle indagini condotte dal pool anticamorra dell’aggiunto Filippo Beatrice e dei pm Giovanni Conzo e Cristina Ribera. Sotto inchiesta i presunti esponenti dell’ala militare del clan che fa capo a Vincenzo D’Alterio, Giuseppe Ciccarelli e Giuliano Pianese, attiva nella fascia costiera che va da Varcaturo a Lago Patria e Licola. Associazione mafiosa, estorsione, truffe ai danni di istituti di credito, ricettazioni, violenza privata, minacce, falso, turbativa d’asta le accuse contestate dalla misura firmata dal gip Roberto D’Auria, dopo gli accertamenti condotti dai finanzieri del gico di Roma e dal nucleo di polizia tributaria di Napoli. Al centro delle indagini spicca il capitolo falsi certificati medici, che servivano – almeno nel caso di D’Alterio – non solo ad ottenere benefici carcerari, ma anche pensioni di Stato. Danni all’Inps ricostruiti dal pentito su cui è logico pensare che ci siano indagini in corso da parte del pool mani pulite dell’aggiunto Alfonso D’Avino. Finisce invece ai domiciliari un agente penitenziario, Gaetano Cecere, accusato di violazione di atti coperti, per aver trasferito messaggi degli affiliati, in uno scenario in cui è logico attendere nuovi sviluppi investigativi. Ma in cosa consiste il potere economico dei Mallardo? Società, camping, supermercati, vendita del pane e l’acquisto di case all’asta. La camorra giuglianese dei Mallardo sapeva come riciclare i proventi illeciti. Fiumi di soldi provenienti dalle estorsioni e dai traffici illeciti. Con il blocco forzato delle costruzioni a causa del crollo delle vendite delle abitazioni e l’intensificarsi dei controlli contro l’abusivismo edilizio, la cellula camorristica aveva iniziato ad acquistare gli immobili alle aste fallimentare. Il loro metodo era semplice e contraddistinto dalla modalità camorristica: chi presentava offerte veniva minacciato. In campo entravano i prestanome. Imponevano la vendita del pane dalla loro azienda di riferimento, La Panificazione, che nel blitz di ieri è stata sottoposta a sequestro. Emblematico un episodio che vide il gestore «occulto», Antonio Pianese detenuto ai domiciliari, imporre l’acquisto dei panini dalla società. Vittima dell’estorsione e delle minacce il titolare di un’attività di ristorazione all’interno di un camping di Pozzuoli. L’uomo, per evitare problemi, dovette acconsentire ed acquistare i panini. Indagini anche su appalti per la vendita di pane in ospedali cittadini e altri uffici pubblici. Ma nel mirino del clan Mallardo sono finite nel corso degli anni anche alcune aziende e società che, nel tempo, si sono aggiudicate appalti pubblici col Comune di Giugliano, che circa un anno e mezzo fa è stato sciolto per presunte infiltrazioni camorristiche. È quanto emerge dall’inchiesta condotta dalla Dda di Napoli. Gli interessi dell’organizzazione erano anche in altri settori come il commercio di autoveicoli, l’edilizia e l’intermediazione finanziaria. Lungo la fascia costiera – nelle località di Licola, Varcaturo e Lago Patria, alla periferia di Giugliano – il core business del clan. Secondo il collaboratore di giustizia Giuliano Pirozzi il clan può contare sulle persone più disparate come prestanomi e affiliati: «Noi abbiamo uomini della polizia penitenziaria, dipendenti dell’ufficio matricola, dipendenti del servizio di pulizia e del servizio mensa, nonché rappresentanti di diverse confessioni religiose, come i pastori della chiesa evangelica che fungono da tramite tra gli affiliati e il clan». Persone che vengono pagate con un regolare stipendio, la classica «mesata». Sotto chiave palazzi, ville, negozi, società, auto, moto, strutture alberghiere, ristoranti, parco giochi, concessionarie di auto, conti correnti e azioni. Ieri l’ennesimo sequestro di oltre otto milioni di euro di beni. (Leandro Del Gaudio e Mariano Fellico – Il Mattino)

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