Napoli. Ristoranti e bar a Capodichino. Autogrill lascia e non viene accettato il subentrante che avrebbe assunto tutti

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Napoli. Un Apecar a pochi metri dalla scala mobile che porta ai gate A e B. È un bar volante, proprio di fronte all’ex wine bar «Obika» che ha ormai le saracinesche chiuse. All’aeroporto di Capodichino è il terzo mese senza 4 punti ristoro per ora inattivi. Un vuoto, visibile subito dopo aver superato l’area di vendita profumi, alcolici e prodotti tipici. Un vuoto che colpisce: il bar «Tentazioni», accanto a «Bellavia», è chiuso. Stessa sorte per «Obika» e poi, girando appena l’angolo cha dà alle scale mobili, vetrine sbarrate anche per «Ciao» e «Acafé». Punti gestiti dal 2007 dalla società «Autogrill spa», che ha deciso dall’estate di mollare l’aeroporto napoletano. Un vuoto che non passa inosservato in questi giorni di aumento dei passeggeri. «Tra una settimana consegneremo le aree alle tre nuove società che hanno vinto la gara d’assegnazione dei punti ristoro chiusi», annuncia Armando Brunini, l’amministratore delegato della Gesac, la società a maggioranza privata che gestisce l’aeroporto napoletano. Ma all’annuncio non si sono fermate le proteste dei 70 lavoratori, dipendenti di «Autogrill spa», messi in mobilità e ora disoccupati. A fine novembre si sono incatenati all’ingresso di Capodichino. Bandiere e cartelli sulla protesta hanno accolto in queste settimane i passeggeri. «Il nostro contratto non prevede mobilità assistita – spiegano i sindacalisti di Filcams Cgil e Fisascat Cisl – Bisognerà trovare delle forme nuove di indennità di disoccupazione». Il bersaglio dei sindacati è la Gesac, che però è solo proprietaria degli spazi concessi alle società di ristorazione. Spazi su cui guadagna circa un milione di euro nei contratti. Chi decide, e ha deciso, sulla sorte dei dipendenti sono dunque le società concessionarie. E la «Autogrill spa» ha scelto di mollare Capodichino, così come altri punti vendita in Italia, per valutazioni di bilancio legate alla crisi. Cali di fatturato del 7,1 per cento nel 2013 e del 35 per cento nel primo trimestre 2014 hanno convinto gli amministratori della società ad anticipare la fine dell’attività a Capodichino, che doveva proseguire fino al 2016. Secondo i calcoli di «Autogrill», il costo del lavoro ha inciso nel 2013  per il 48 per cento sulle perdite di 810mila euro. Stop a Capodichino, dunque. Ma cercando comunque un successore che avesse voglia di partire dove «Autogrill» finiva. Nel contratto con la Gesac era infatti previsto che, nel caso la società avesse deciso di andare via prima, avrebbe potuto individuare un’altra società disposta a subentrare. Un rapporto regolato tra aziende, quindi. E la società, tutta napoletana, era bella e pronta: il gruppo «Sebeto spa», quello del marchio Rosso pomodoro, Anema & cozze, Pizza e contorni e Ham tanto per intenderci. Non solo sarebbe subentrata a gestire tutti e 4 i punti ristoro, ma era disposta anche a conservare il posto ai 70 dipendenti di «Autogrillspa». Tutto a buon fine, soluzione felice per tutti? Macché, proprio da questo momento è cominciata la battaglia dei sindacati sulle garanzie future, sulle tipologie di contratti da conservare, sulla forma giuridica dell’ingresso della «Sebeto spa». Tra i 70, infatti, una quarantina aveva contratto di lavoratori dei trasporti, il resto invece contratto del settore ristorazione. Ma su quale punto si sono, di fatto, arenate le trattative con i sindacati? Su una questione che veniva considerata «fondamentale» a garantire il futuro dei 70 dipendenti: la forma giuridica della sostituzione tra aziende. Non si sarebbe trattato di un acquisto di ramo d’azienda da «Autogrill», ma di subconcessione dalla Gesac. Nel tira e molla, i sindacati non hanno fatto proprio il detto del “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Il risultato è stata la fuga del gruppo «Sebeto», che non voleva subire l’imposizione della forma di ingresso più conveniente per l’azienda: troppi ostacoli, troppi lacci sindacali. Meglio mollare. E così la Gesac si è vista costretta ad avviare una gara per aggiudicare gli spazi ristoro. C’era anche da far presto, seguendo le indicazioni dell’Enac sulle procedure trasparenti. Vengono chieste così delle «manifestazioni di interesse», anche sul sito della società. Rispondono in 31, alcune vengono subito scartate perché non rispondevano ai requisiti richiesti: società piccole, con fatturati poco consistenti, senza grosse esperienze di ristorazione per utenti numerosi. Alla fine, restano in 16 a disputarsi la concessione. E presentano offerte. I 70 lavoratori? Nel bando di gara non ne era prevista l’assunzione. Spiega l’amministratore delegato della Gesac, Brunini: «Avremmo rischiato delle gare deserte. Vincolare le offerte alle assunzioni poteva essere considerato poco vantaggioso per società che hanno il loro personale e collaudate tecniche di vendita di gruppo». Un passaggio che ha esasperato i sindacati che chiedevano l’inserimento nel bando di una «clausola sociale», con obbligo di assunzione dei 70 ex lavoratori della «Autogrill». È un fuoco di fila, con interventi politici di Regione e Comune, azionisti di minoranza con piccole quote societarie, a sostegno dei sindacati. E la gara? La vincono in tre. I punti ristoro «Ciao» e «Acafé» se li aggiudica il gruppo «Fratelli La Bufala». Da loro un no deciso ad assumere parte dei lavoratori ex «Autogrill». Lo spazio più ampio, quello di «Obika», viene assegnato invece ai «Feudi di San Gregorio», azienda irpina di consolidata tradizione. Dove c’era «Tentazioni» ci sarà il punto gestito da «Fattorie Garofalo» di Santa Maria Capua Vetere, azienda che produce prodotti caseari. I lavoratori non ci stanno e continuano le loro proteste, che sono arrivate anche in Consiglio comunale a Napoli con prese di posizione e richieste di chiarimenti. Tanto che l’amministratore delegato, Armando Brunini, e il vicepresidente, Carlo Borgomeo, della Gesac hanno scritto, 5 giorni fa, una lettera a Regione, Comune, Prefettura, Enac e sindacati con una sintesi della vicenda. Vi si legge: «Speriamo che le istituzioni interessate si impegnino a facilitare percorsi che limitino, per quanto possibile, l’impatto sociale e con il comune obiettivo, comunque, di non compromettere la regolarità dei servizi aeroportuali di ristorazione e l’immagine dell’aeroporto di Napoli e dell’intera città». Se «Fratelli La Bufala» è chiusa alla possibilità di assumere parte dei 70 disoccupati, le altre due aziende sono disposte a prenderne almeno 15. E hanno affidato ad una società il compito di selezionare, utilizzando i tradizionali colloqui, i 70 per sceglierne 15. I sindacati rifiutano: o tutti, o nessuno. E ai colloqui, fino ad ora, non si è presentato neanche uno dei convocati. Qualcuno ora mugugna e recrimina sull’ipotesi «Sebeto» non accettata. Ma ormai è tardi. Per prendere tutto, si è rischiato di non avere nulla. Il bersaglio delle proteste sindacali resta sempre la Gesac, che non avrebbe spinto le aziende alle assunzioni. Ma replica la società: «Non possiamo assumere iniziative contro le leggi in materia di appalti. Non abbiamo alcuna possibilità di imporre alle nuove imprese assegnatarie l’assorbimento di personale Autogrill aggiuntivo rispetto agli impegni espressi in fase di gara». Le proteste dei lavoratori non si fermano e restano nell’area terminal, alle partenze. Forse, a questo punto, l’intervento di Regione e Comune potrebbe aiutare a trovare forme di cassa integrazione da unire alle procedure di mobilità. E intanto, entro la primavera, le tre nuove società riapriranno i 4 punti ristoro. (Gigi Di Fiore – Il Mattino)

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