Napoli. Negozi, l’ombra dei clan sui cambi di proprietà. Troppi esercizi e microbar aprono e chiudono in fretta.

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Napoli. Qualcuno sta stravolgendo i contorni del profilo merceologico di Napoli. È ancora presto per affermarlo con certezza, ma se le indagini già avviate dovessero confermare che dietro l’«apri e chiudi» a catena di negozi, bar, micromarkets e sale giochi ci fosse un’unica regia, allora ci sarebbe da preoccuparsi. A lanciare l’allarme avevano già pensato le organizzazioni di categoria. L’ultimo, solo in ordine di tempo, è quello di Confimprese Italia, confederazione sindacale che solo a Napoli conta ormai 4500 associati: da queste rilevazioni emerge un quadro sconfortante e inquietante al tempo stesso. C’è di tutto. Zone di storica tradizione commerciale come il Vomero e l’Arenella o come lo stesso corso Umberto stanno subendo uno stravolgimento epocale. Chiudono negozi «storici», che hanno resistito anche alla guerra, e al loro posto spuntano insegne a dir poco improbabili. Così muoiono interi segmenti di una città senza più memoria e con sempre meno storia da raccontare. Ma mentre le associazioni di categoria raccoglievano dati e commissionavano studi di settore, qualcuno si era già mosso. Dinanzi a questo plateale cambio di passo merceologico, polizia, carabinieri e guardia di finanza non restano con le mani in mano. Ci sono almeno una decina di inchieste già avviate «di iniziativa». Almeno quattro le aree del capoluogo campano interessate dalle indagini: il Vomero e l’Arenella, il centro storico e la zona occidentale (Fuorigrotta, Soccavo e Pianura). Per il momento siamo nella fase delle cosiddette indagini conoscitive, ma a breve il lavoro degli investigatori dovrebbe confluire in una serie di informative che giungeranno ai magistrati della Procura di Napoli. Oltre a verificare i profili amministrativi e contabili, si vuole capire come e perché, solo negli ultimi sei mesi, si sia registrata una fioritura di esercizi commerciali tipo bar e sempre più «micro- bar», un notevole incremento di negozi specializzati nella vendita delle sigarette elettroniche e – soprattutto – una vera e propria esplosione di sale da gioco. Va ovviamente chiarito in premessa che non si può né si deve generalizzare il discorso: e che tanti gestori di «neonati» esercizi commerciali nulla hanno a che vedere con i giri strani di cessioni e rilevamento di licenze e di contratti di affitto di negozi che chiudono. E tuttavia, secondo gli investigatori, resta il sospetto che qualcuno sia oggi in grado di muovere dietro le quinte fili invisibili in un settore così delicato come quello merceologico. Fuor di metafora, tra i sospetti da fugare ce n’è uno su tutti: quello della criminalità organizzata. Perché la camorra, si sa, resta sempre in spasmodica ricerca di soluzioni capaci di garantirle il riciclaggio di capitali illeciti. Ma veniamo ai numeri. Da uno studio appena elaborato da Confimprese Italia spiccano soprattutto due dati. Il primo: nonostante il calo di affari fatto registrare dal settore, dall’inizio del 2013 a Napoli sono state aperte il 31 per cento in più di sale giochi e sale slot. Come dire: se gli italiani giocano sempre meno al Superenalotto e al Win for life (meno 23,3 per cento), così come pure ai tornei on-line di poker (meno 27,1 per cento), spuntano invece come i funghi le sale giochi e le sale per le slot machine. «Tra gli apparecchi di intrattenimento – si legge nell’analisi di Confimprese Italia-Napoli, presieduta da Enzo Perrotta – c’è da segnalare che al calo delle Newslot (da 13.980 milioni a 12.700 milioni, dato complessivo, ndr) fa da contraltare una leggera crescita della raccolta delle «Videolottery» (da 10.450 a 10.700 milioni). Cifre da brividi, in ogni caso, che testimoniano l’enormità non solo della posta in gioco complessiva, ma anche dei (potenziali) interessi che intorno al grande affare del gioco d’azzardo legalizzato si muovono. (Giuseppe Crimaldi – Il Mattino)

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