Penisola sorrentina. "Ius Patronatus", il mistero delle 7 chiese

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Sette parroci per sette chiese vengono, anzi venivano eletti, dal popolo in penisola sorrentina. Sono anni, infatti, che questa tradizione sembra non si voglia più applicare, nonostante le proteste. Le chiese sono una a Sorrento (Santa Maria di Casarlano), due a Sant’Agnello (Santa Maria delle Grazie a Trasaella e S. Prisco ed Agnello), tre a Piano di Sorrento (la Chiesa di Santa Maria a Mortora, la chiesa della SS. Trinità a Trinità e la Basilica di San Michele Arcangelo) ed una a Meta (Santa Maria del Lauro). Un’antica tradizione che si perde nella notte dei tempi e che oggi, nell’epoca della democrazia diretta, è molto attuale. Lo “Jus Patronatus”, l’antico diritto dei fedeli di eleggersi il parroco, è un diritto democratico, che rende unica e peculiare la penisola sorrentina nel mondo, che è anche un bene culturale che, si teme, rischia di perdersi. Uno degli ultimi parroci ad essere stato eletto dai fedeli è stato Don Vincenzo Simeoli nella parrocchia della “SS. Trinità” di Piano di Sorrento, autore di un pregevole e scorrevole libello sull’argomento. Prima di lui Don Arturo Aiello, ora Vescovo di Teano (Caserta), è stato l’ultimo ad essere eletto parroco della Basilica di San Michele Arcangelo a Piano di Sorrento; la nomina è avvenuta attraverso il voto dei fedeli, in base al cosiddetto “diritto di patronato“, un privilegio che la Chiesa concedeva ai fedeli che costruivano la parrocchia a loro spese. Don Arturo Aiello fu eletto in sostituzione del defunto Don Francesco Saverio Sessa; poi nel giugno 2006, dopo la nomina a vescovo di Teano, Don Arturo lasciò a sua volta la parrocchia (si tratta dell’unica possibilità concessa alla Chiesa di poter rimuovere un parroco, altrimenti irremovibile). L’Arcivescovo di allora, Felice Cece, nominò, sembrava provvisoriamente, come amministratore parrocchiale di Piano di Sorrento don Pasquale Irolla. Ma da allora, nonostante le proteste, non c’è stata più nessuna altra elezione. La nomina avviene attraverso il voto dei fedeli seguendo una tradizione che risale al 1200 e che sopravvive solo in 21 parrocchie in tutto il mondo. Nella penisola sorrentina le parrocchie con tale diritto sono sette, altre parrocchie si trovano in Svizzera, ma in nessuna altra parte del mondo vi è una concentrazione del genere come da noi. Il diritto all’elezione del parroco da parte dei fedeli viene chiamato “diritto di patronato”. Si tratta di un privilegio che la Chiesa concedeva ai fedeli che si accollavano la spesa per la costruzione della parrocchia. Deriva dalla tradizione della vita pastorale degli albori, quando veniva scelta dai fedeli una persona matura ed integra per la testimonianza di fede e guida (presbitero), un tentativo di autonomia laicale dal diritto del vescovo di nominare il parroco ed un modo per gestire autonomamente l’amministrazione delle parrocchie ma anche, come scrive Simeoli, un’occasione per “stimolare i parrocchiani ad essere più compartecipi nella vita comunitaria ed i battezzati in Cristo ad essere parte attiva nella pastorale in virtù del loro sacerdozio comune”. In passato il diritto al voto era limitato per censo fra i nominativi designati dal Capitolo della Basilica di San Giovanni in Laterano di Roma, poi era l’amministratore a suggerire i nomi, poi, come spiega ancora Simeoli, tali nominativi sono passati all’arcivescovo di Castellammare di Stabia–Sorrento. Dal 1974 solo i capi famiglia avevano diritto al voto e dal 1992 la votazione diventò a suffragio universale, cioè tutti i battezzati maggiorenni, donne e uomini, avevano diritto al voto. Ora si ha l’impressone che questo diritto si vorrebbe portare nel dimenticatoio. E’ un vero peccato, anche perché alla fine proporre una terna, che già abbia in “nuce” il vincitore, non è difficile. L’impressione è che la Chiesa voglia appropriarsi di questa prerogativa senza condizioni facendo andare nell’oblio una tradizione, che è anche un diritto, che portava la popolazione, grazie anche al coinvolgimento del voto, a partecipare maggiormente alla vita religiosa della propria parrocchia, un aspetto questo di cui tener conto per comprendere maggiormente anche la realtà socio-politica del territorio. Michele Cinque

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