Discussione intorno al Dio impersonale di Spinoza

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    Ho ricevuto numerose critiche e commenti al mio ultimo articolo ‘Alla ricerca del Dio impersonale di Spinoza (1), passando per Vito Mancuso e Albert Einstein’.

    Non mi è stato materialmente possibile rispondere a tutti e mi scuso con chi mi ha scritto e non ha ricevuto risposta. Fra i tanti commenti ricevuti ne ho scelti alcuni perché mi danno l’occasione di discutere del Dio impersonale di Spinoza così indubbiamente diverso dal Dio personale della religione cristiana.

    In quest’articolo, per rispondere indirettamente alle critiche/obiezioni che mi sono state rivolte, mi sono inventato un dibattito con un personaggio virtuale che ho chiamato Andrea.

     

     

    Andrea:

    Caro Luigi, sono d’accordo con Vito Mancuso che, oltre il Principio ordinatore immanente, debba esserci anche un Dio personale trascendente, cioè il Dio Padre della religione cristiana. Non è possibile attribuire, come fai tu, al Principio ordinatore impersonale e immanente la definizione di “più alta manifestazione della divinità che alla ragione è dato scorgere”. Infatti, nel Principio Ordinatore impersonale o, se preferisci, nella Sostanza di Spinoza, c’è una razionalità logica come dice giustamente Mancuso, ma non c’è la singolare caratteristica di ‘Volto di Dio’ che è proprietà solo del Dio trascendente e personale.

    Io

    Caro Andrea, che cosa significa ‘Volto di Dio’? Qual è la sua singolare caratteristica? La barba bianca? Scherzo ovviamente.  Ma cosa t’immagini quando usi quest’espressione? Siccome Dio non può essere immaginato, io penso che l’espressione ‘Volto di Dio’ non abbia senso.

    Andrea

    E’ ovvio che uso l’espressione ‘Volto di Dio’ in senso figurato volendo significare che Dio deve essere necessariamente un Dio personale. Parlando del ‘Volto di Dio’ voglio dire che, oltre al Principio ordinatore immanente al mondo, deve per forza esserci un Dio trascendente dotato di personalità.

    Io

    Io non vedo questa necessità. Secondo me, il Principio ordinatore, razionale, logico e, soprattutto, unico, di cui parla Mancuso, s’identifica con l’Essere Supremo, causa di se, del quale non si può pensare nulla di più grande “Deus est ens quo nihil maius cogitari potest” (Sant'Anselmo d'Aosta) e che si manifesta, in modo molto parziale, ai nostri sensi e, quindi, alla nostra coscienza, in tutte le cose del mondo.

    Andrea

    Ma ci deve essere per forza un Creatore dell’universo che si voglia chiamare Padre e se ne cerchi una relazione quantomeno per capire quale scopo lo abbia indotto a una tale bizzarra creazione.  Egli deve necessariamente essere fuori dal tempo perché eterno, dato che deve essere pre-esistente a tutto il creato e anche a quello che tu chiami Principio ordinatore.

    Io

    E’ Mancuso che parla di Principio ordinatore, io preferisco la terminologia di Spinoza che parla della ‘Sostanza’ causa di se e ASSOLUTAMENTE infinita. Ho scritto ‘assolutamente’ in maiuscole perché credo che qui sia il cuore della nostra discussione. Se Dio è assolutamente infinito, non è possibile concepire alcunché al di fuori di Lui, neanche il creato.  

    Se si accetta che esiste un Dio che è tutto quello che c’è, una totalità ontologica, un tutto assolutamente e necessariamente infinito che non ammette nulla fuori di sé, allora non c’è alcun bisogno di supporre un creatore e un creato. Non esiste qualcuno che a un certo punto, si sveglia al mattino e crea, dal nulla, l’uomo e l’universo. L’uomo e l’universo non sono stati creati da Dio, ‘derivano’ da Dio, o meglio sono due delle infinite proiezioni finite e temporali di Dio nell’ordine di spazio e di tempo proprio della nostra dimensione.

    Il verbo ‘derivare’ può, in effetti, essere fuorviante perché fa immaginare qualcosa che ‘viene fuori’ come l’acqua che sgorga da una sorgente. Non è così, tutto è implicato nel Tutto, non c’è niente che viene fuori. Queste sono le parole che usa Spinoza: “… dalla potenza di Dio, cioè dalla sua infinita natura, sono derivate necessariamente infinite cose in infiniti modi, ossia tutto, e che sempre continuano a derivare per la stessa necessità, così come dalla natura del triangolo, dall’eternità e per l’eternità, deriva che la somma dei tre angoli è uguale a due angoli retti.” Con uno sforzo d’immaginazione puoi riuscire a ‘vedere’ che la totalità ontologica è l’UNO, infinito, increato ed eterno che comprende in sé le manifestazioni finite e temporali della nostra esperienza.

    Com’è grandiosa e suggestiva l’idea di un Dio che, dall’eternità e per l’eternità, racchiude nel suo eterno presente le infinite cose del mondo che evolvono nel tempo, dalla sterminata galassia al più piccolo e schifoso vermiciattolo!!! Per afferrare questo concetto la mente umana è spinta ai limiti delle sue capacità d’ideazione. Come appare prosaico e 'umano' al confronto il concetto di Dio Padre creatore del cielo e della terra!

    Andrea

    Non mi hai convinto. Contesto la possibilità di un Dio immanente o di una Sostanza perché, seguendo semplici ragionamenti logici, si deve necessariamente accordare l’esistenza di un Dio trascendente personale che ha creato tutto l’universo.

    Io

    In base a quale deduzione logica ‘si deve necessariamente accordare l’esistenza di un Principio trascendente personale’?  Mancuso, che è un teologo cattolico, ammette, onestamente, che non ci sono argomenti universalmente validi per supporne l’esistenza. Anche il famoso argomento ontologico di Anselmo, volendo considerarlo valido, ma non lo è, dimostra solo l’esistenza di Dio, non del Dio trascendente personale.  

    Se poniamo Assoluto=Essere, è evidente che l'Assoluto esiste. In questo modo arriviamo con la ragione a ciò che comunemente viene detto Essere o anche Totalità, Assoluto, Uno, Tutto, insomma, al Dio impersonale di Spinoza.

    La ragione, quindi, può dimostrare l'esistenza di un essere assoluto ma non il suo carattere personale. La realtà cui si perviene con la ragione non è il tenero Abbà-Padre di Gesù. Di questo non si potrà mai conoscere razionalmente l'esistenza. Alla scoperta di un Dio personale si può pervenire solo con argomenti sviluppati all'interno dell'esperienza di fede, argomenti quindi validi solo per i credenti. In altre parole, al Dio impersonale e immanente ci si arriva con la ragione (basta guardarsi intorno), al Dio Padre personale ci si può arrivare solo tramite la fede.

    Andrea

    Ma le cose dell’Universo non sono eterne, sono finite e temporanee, quindi è necessario che ci sia un Ente eterno pre-esistente all’Universo che crea il mondo e tutte le cose finite.

    Io

    Ti prego di considerare una frase della mia precedente citazione: “… così come dalla natura del triangolo, dall’eternità e per l’eternità, deriva che la somma dei tre angoli è uguale a due angoli retti”.

    Il triangolo non pre-esiste alle sue proprietà. Non è possibile stabilire una connessione temporale tra natura del triangolo e le sue proprietà perché la relazione è ‘fuori del tempo’. Come dalla natura del triangolo derivano le sue proprietà, allo stesso modo dalla natura di Dio ‘derivano’ l’ordine e le connessioni di tutto quello che c’è.

    Data la natura eterna e infinita della Sostanza, l’ordine e le connessioni sono costituite nell’eterno presente, nella simultaneità interamente scevra di tempo. Dalla prospettiva dell’eterno presente di Dio, che non è vincolato dal tempo e dallo spazio, tutto è eterno: ogni cosa, ogni attimo della tua e mia esistenza è connesso direttamente alla mente fuori del tempo, quindi eterna, di Dio.

    Insomma non c’è alcun bisogno di presupporre un Ente esterno che pre-esiste all’universo. E’ altresì evidente che, per la nostra povera coscienza che si muove nello spazio e nel tempo, non si può parlare di eterno presente, ma di eventi che si susseguono nel tempo.

    Andrea

    Secondo il tuo ragionamento, se tutto è connesso con la natura di Dio, dobbiamo presupporre che non solo l’uomo ma tutta la natura, le stelle, le piante e gli animali sono connesse all’eterno presente di Dio. Insomma, un Uomo e una mosca avrebbero pari dignità al cospetto di Dio. Questa mi sembra una cosa veramente assurda. Non si può declassare l’incontestabile preminente centralità dell’Uomo nella natura … fino a prova contraria l’Uomo è il termine evolutivo più perfetto della natura.

    Io

    Secondo me, l’uomo è parte della natura a tutti gli effetti: non è un regno a parte nel regno della natura. Come tutti gli esseri viventi, l’uomo è plasmato secondo le leggi dell’evoluzione naturale, anche la complessità del suo cervello è frutto dell'evoluzione naturale, non dell'anima infusa dall'alto. 

    Andrea

    Aspetta un attimo … io non parlo di complessità del cervello ma dello Spirito dell’Uomo che, a differenza di tutto il resto dell'Universo, non è passato attraverso i successivi stadi evolutivi.  

    Io

    E, secondo te, dov’era  lo Spirito dell’Uomo subito dopo il Big-Bang mentre la materia evolveva? Svolazzava nell’etere in attesa che evolvesse un corpo umano in cui albergare. Ma quale stadio evolutivo degli ominidi è stato poi degno di ospitare lo Spirito dell’Uomo?  L'australopiteco era già degno di ospitare lo Spirito dell’Uomo? O c’è stato bisogno di aspettare l’Homo erectus o addirittura l'Homo neanderthalensis? 

    Ripeto, secondo me, l'uomo è parte della natura a tutti gli effetti: è soggetto alle sue leggi come tutte le cose e gli esseri viventi di questo mondo. Nasce e muore come tutti gli animali, è soggetto alle malattie, un insignificante virus può portarlo alla morte, si rompe l’osso del collo se cade da una certa altezza, è governato dall’istinto primordiale della sopravvivenza e della riproduzione.

    Dici ’incontestabile preminente centralità dell’individuo’ … ma centrale rispetto a cosa?  Rispetto all’universo? Ma la moderna cosmologia dice che non siamo al centro di niente. Centrale nel contesto temporale? Assolutamente no. Se la vita totale dell’universo è equiparata a ventiquattro ore, da mezzanotte a mezzanotte, allora l’uomo compare nell’universo alle 23.59 e qualche secondo. Sembra proprio che la totalità della creazione sia stata predisposta da Dio, per l’uomo, con congruo anticipo. Centrale nel  progetto di Dio? Questa è un'ingiustificata e assurda presunzione. Se fosse vero quello insegna la religione cattolica che “per l'Uomo esistono il cielo e la terra e il mare e la totalità della creazione”(Catechismo, 358) allora dovremmo pensare che per noi  sono state create le centinaia di miliardi di galassie ciascuna composta di miliardi di stelle che dall’alto ci guardano con ammirazione e rispetto in quanto SOLO NOI siamo il fine ultimo della LORO stessa esistenza. C’è un grosso buco nero, in particolare, che è personalmente grato ad Andrea di avergli dato l’opportunità di esistere. Spero si capisca che sto usando un tono ironico.

    L’uomo sarebbe il ‘termine evolutivo più perfetto?  Certo l’uomo è adesso l’animale più evoluto in un angolo remoto dello spazio tempo. Ma nello stesso remoto angolo dell’universo, 100 milioni di anni fa non c’era traccia di questa creatura preferita da Dio per la quale “esistono il cielo e la terra e il mare e la totalità della creazione”.

    Il Big Bang c’era stato circa tredici miliardi di anni prima, quattro miliardi di anni prima era comparsa la prima forma di vita sulla Terra, ora, siamo a 100 milioni di anni fa, i dinosauri scorazzano da dominatori sulla superficie terrestre. Sono loro il termine più perfetto della natura? Anch’essi pensano che “il cielo, la terra e il mare e la totalità della creazione” sono stati creati per loro beneficio in quanto creatura preferita del momento?

    Se fra un mese o un anno un asteroide di grosse dimensioni colpisce la Terra cancellando la vita sul pianeta, com’è già successo ai tempi dei dinosauri, o se l’umanità dovesse autodistruggersi a causa di una spaventosa guerra termonucleare, come reagirebbe l’universo che noi dovremmo “dominare”. Quali tremende conseguenze comporterebbe la fine dell’Uomo per i miliardi di galassie e i miliardi di miliardi di stelle? Se è solo grazie all’uomo che  “ …  esistono il cielo e la terra e il mare e la totalità della creazione”, quale sarebbe il destino delle stelle e delle galassie una volta che la stirpe umana fosse estinta? Hai un’idea a proposito? T’immagini forse l’arrivo di Cristo dal cielo su un cavallo bianco circondato da angeli trombettieri a decretare la fine dei tempi e di tutto l’Universo?

    Io avrei una risposta diversa: nell’infinito firmamento  … tutto continuerebbe come prima. L’universo non se può fregare di meno se sulla Terra dominano i dinosauri, com’è stato per centinaia di milioni di anni, o se domina l’uomo, come succede nelle ultime centinaia di migliaia di anni. Per concludere, secondo me, l’incontestabile preminente centralità dell’individuo di cui parli non esiste, è solo frutto dell’immaginazione. 

    Andrea

    Nonostante i tuoi argomenti, non si può assolutamente declassare l’Uomo al livello delle altre creature. A differenza degli animali noi abbiamo un’anima immortale e abbiamo ricevuto il terribile dono del ‘libero arbitrio’ che ci rende responsabili di fronte a Dio del bene e del male che facciamo con le nostre azioni.

    Io

    Chiuso il discorso sul primo pregiudizio della religione cristiana, quello della centralità dell’uomo, siamo subito giunti al secondo pregiudizio, quello del libero arbitrio. Per cominciare, ricordo che, secondo le moderne neuroscienze, il pensiero, i sentimenti, la volontà … ecc.  sono manifestazioni che emergono ‘meccanicamente’, cioè secondo precise leggi di natura, dal flusso elettrochimico che scorre incessantemente nel nostro corpo e, in particolare, nelle cellule del sistema nervoso, nei cento miliardi di neuroni e svariati trilioni di connessioni sinaptiche del cervello.

    Una certa decisione emerge come epifenomeno (fenomeno secondario che accompagna o segue un fenomeno primario senza apparente rapporto con esso) dalla neurochemio-biologia del corpo nel momento della decisione. Non c’è uno spiritello che a un certo punto interviene nel processo decisionale per dirigerlo verso questo o quel risultato. Per dirla con Spinoza: “Nella Mente non vi è alcuna volontà assoluta o libera; ma la Mente è determinata a volere questo o quello da una causa che è anch’essa determinata da un’altra, e questa a sua volta da un’altra, e così all’infinito” (Etica II, Prop. 48). La volontà, insomma, non è libera ma determinata da cause antecedenti.

    Andrea

    Che cosa vuol dire cause antecedenti? Io, in questo momento, alzo il braccio in alto semplicemente perché voglio farlo. Sono io, con la mia volontà, a decidere di alzare il braccio in questo momento. Cosa c’entrano le cause antecedenti?

    Io

    Certo … sei tu e la tua volontà a decidere di alzare il braccio … ma dobbiamo capire cosa s’intende per volontà. Normalmente s’immagina la volontà come l’output di una cosa immateriale, drasticamente separata dal corpo, che chiamiamo anima. Sei d’accordo?

    Andrea

    Sì, sono d’accordo, è l’anima che esprime la volontà. Che l’anima sia poi cosa spirituale, diversa e separata dalla materia corporale, è dimostrato anche dal fatto che, alla morte del corpo, l’anima se ne stacca e continua a vivere autonomamente nella vita eterna.

    Io

    Lasciamo perdere per il momento la vita eterna dell’anima perché ci porterebbe fuori dal percorso logico che sto cercando di seguire. Ora, la tua convinzione che l’anima sia cosa separata e autonoma dal corpo non regge perché altrimenti dovresti spiegarmi come fa una cosa spirituale a far muovere una cosa materiale (il tuo braccio che si alza). Come ben sai, una cosa materiale può essere smossa solo da urti o interazioni con altre cose materiali. Insomma non è possibile che la non-materia (lo spirito) faccia muovere la materia (i muscoli del tuo braccio).

     Andrea

    Questa affermazione non mi convince per niente. Io credo che lo spirito possa influenzare la materia e viceversa. Ad esempio, nel funzionamento del cervello, le concatenazioni elettrochimiche (fatte di materia) partono spesso da un input esterno che non è altro che un messaggio verbale, cioè un pensiero. Il pensiero si traduce in un messaggio neuro-elettrico che si trasforma in un informazione chimica e così via. Quindi dall'ambito del pensiero, il messaggio è passato all'ambito fisico. Alla fine del processo possono prodursi anche effetti importanti su tutto il corpo fisico. Un esempio è quello di una notizia tragica che può portare chi la riceve a farsi venire un infarto.

    Io

    Cartesio (1596–1650) la pensava come te. Il dualismo cartesiano ipotizzava due cose distinte e separate, lo spirito e la materia o, per usare la terminologia di Spinoza, la Mente e il Corpo.  Immaginava poi  che fra i due ambiti ci fosse un'interazione e che la Mente fosse in grado di far muovere il Corpo. Aveva immaginato una ghiandola posta al centro del cervello che era in grado di 'leggere' i pensieri della Mente e tradurli in movimento del Corpo. Le moderne neuroscienze dicono che non è così. Il famoso neurobiologo Antonio Damasio, ha scritto due libri, emblematicamente intitolati ‘L’errore di Cartesio’ e ‘Alla ricerca di Spinoza’. Nei suoi due libri, Damasio rende omaggio alla lungimiranza della teoria della Mente di Spinoza, che già quattrocento anni fa, in una premonizione di inquietante modernità, aveva  capito l’errore di Cartesio e intuito come funziona il cervello. 

    Mentre Cartesio diceva che la Mente e il Corpo sono due cose distinte e separate, Spinoza scrive: 

    la Mente e il Corpo sono una sola e medesima cosa, che viene concepita ora con riferimento all’attributo Pensiero, ora con riferimento all’attributo Estensione. Di qui risulta che l’ordine (ossia la concatenazione) delle cose è uno solo, sia che la Natura si consideri sotto questo attributo, sia che si consideri sotto quello; e, di conseguenza, che le azioni e le passioni del nostro Corpo corrispondono per natura, simultaneamente e in parallelo, alle azioni e alle passioni della nostra Mente “ Etica III. Prop. II, Scolio. 

    Poi:

    Né un Corpo può determinare una Mente a pensare, né una Mente può determinare un Corpo al moto, o alla quiete, o ad altro (se c’è altro)”.Etica III, prop. II 

    E ancora:

    … ciò dunque che determina una Mente al pensare è un modo del Pensiero e non un modo dell’Estensione, cioè non è un Corpo.” Etica III, prop. II, dimostrazione. 

    Insomma il Corpo non può determinare la Mente a pensare, né la Mente può determinare il Corpo ad agire. La concatenazione di azioni del Corpo e la concatenazione di azioni della Mente, in quanto aspetti di una sola cosa, si sviluppano in parallelo (non si intersecano mai) e di pari passo.

    Come visualizzare una cosa con due attributi tali che un’azione del primo corrisponde, simultaneamente e in parallelo, a un’azione del secondo?

    L’analogia che mi è venuta in mente è quello di un filo elettrico.  Se nel filo faccio scorrere la corrente (materia) intorno al filo si forma un campo magnetico (pensiero). Un aumento del flusso di corrente corrisponde ad  una simultanea e parallela variazione del campo magnetico. Bada bene: non c’è una relazione di causalità perché i due cambiamenti sono simultanei. (un Corpo non  può determinare una Mente a pensare). Una variazione del campo magnetico corrisponde ad una simultanea e parallela variazione del flusso di corrente. Anche qui non c’è una relazione di causalità perché i due cambiamenti sono simultanei.  (una Mente non può determinare un Corpo al moto).

    Mi rendo conto che questa analogia ha molti limiti …. Ma non ho trovato niente di meglio. Ma veniamo ai tuoi esempi. Tu scrivi:

    le concatenazioni elettrochimiche (fatte di materia) partono spesso da un input esterno che non è altro che un messaggio verbale, cioè un pensiero.” 

    Un messaggio verbale non è un pensiero. Parte come onda acustica (particelle di aria che si scontrano), si trasforma in segnale elettrico (particelle, elettroni)  e viene elaborato dal cervello come stimolo esterno. Nella catena di causalità non c’è alcun intervento del pensiero. Il pensiero emerge, come epifenomeno, simultaneamente alla variazione dello stato elettrochimico del cervello alla ricezione dell’input (materiale) esterno. Poi scrivi:

    Un esempio è quello di una notizia tragica che può portare chi la riceve a farsi venire un infarto.” 

    Quando il pensiero che emerge dal messaggio verbale di una tragica notizia entra nell’arena del  cervello si confronta con altri stimoli, ricordi, emozioni, ecc.  Parallelamente e simultaneamente il flusso elettrochimico del cervello subisce rapidi e violenti cambiamenti tali da creare una tempesta neurochimica che può causare un infarto.

    Andrea

    Dove vuoi arrivare?

    Io

    Sto cercando di dimostrarti che la volontà non è un output dell’anima, ma è un epifenomeno che emerge dal corpo. Torniamo al tuo esempio di alzare il braccio come atto di volontà. Nei secondi che hanno preceduto il tuo atto di alzare il braccio, nel tuo cervello si è scatenata una reazione a catena di attività neuronale.

    Che cosa ha determinato l’innesco di questa reazione a catena? Una causa antecedente: l’aver sentito la mia affermazione “la volontà non è libera ma determinata da cause antecedenti”. A seguito della mia affermazione, nel tuo cervello, prima che tu alzassi il braccio, si è svolto un velocissimo processo computazionale molto complesso.

    Tu non te ne sei accorto, ma, in quel breve lasso di tempo nel tuo cervello sono stati processati ricordi, esperienze, conoscenze, osservazioni;  sono state formulate ipotesi che sono state scartate o approvate; è emersa la tua decisione di alzare il braccio per dimostrarmi che il libero arbitrio esiste; conseguentemente, i muscoli si sono contratti opportunamente per attuare la decisione.

    E’ importante notare che: (1) la ricezione del mio messaggio acustico; (2) l’affioramento dalla memoria di ricordi, esperienze, conoscenze, osservazioni; (3) la formulazione di ipotesi; (4) la scelta della soluzione o decisione, e, infine; (5) la contrazione dei muscoli del braccio, sono stadi successivi di un unico processo, continuo, senza fratture o salti, costituito da un incessante flusso di segnali elettrochimici che coinvolge miliardi di cellule del corpo.

    Andrea

    Ok, posso accettare questo complesso processo cerebrale … ma, pensandoci bene, alla fin fine, la scelta fra le diverse ipotesi, quindi, la decisione di alzare il braccio è qualcosa che ho fatto io con la mia coscienza. Avrei potuto benissimo scegliere un altro esempio per controbattere la tua tesi.

    Io

    E qui ti sbagli. Se le nostre cellule sono fatte di materia governata dalle leggi della natura, affermazione questa che io considero un assioma, allora la decisione che emerge in un certo istante è determinata meccanicamente dallo ‘stato’ elettrochimico della materia in quel preciso istante.

    Detto con altre parole, lo stato elettrochimico del tuo corpo nel momento della decisione non poteva portare a una decisione diversa perché tutto il processo che prima ho descritto funziona in modo deterministico secondo leggi di natura ben precise.

    Perché affiorasse un’altra decisione come output era necessario che ci fosse stato qualcosa di diverso in input (ricordi, esperienze, conoscenze, osservazioni). Ma l’input era ineluttabilmente quello che era … quindi l’output non poteva essere diverso.

    Andrea

    La tua ipotesi è raccapricciante. Se le nostre decisioni sono determinate come dici tu, allora noi non siamo assolutamente liberi … siamo degli automi.

    Io

    La mia è molto di più di una semplice ipotesi … quello che ho descritto è quanto le moderne neuroscienze hanno scoperto sul funzionamento del cervello. Se ci pensi bene questo meccanismo puoi verificarlo tu stesso. Pensa a una decisione importante della tua vita e chiediti se, date le condizioni in cui tu avevi preso la decisione, avresti potuto prenderne una diversa. Subito dopo forse ti sarai reso conto che era sbagliata, ma nel momento in cui hai deciso non potevi decidere diversamente.

    Andrea

    Ciò non toglie che l’idea di essere un automa senza libertà alcuna sia per me orribile e sconsolante.

    Io

    Ma la libertà esiste se ci pensi bene. Certo, bisogna dare all’idea di libertà un altro contenuto semantico. La libertà non consiste nel libero arbitrio nel momento della decisione come tu la intendi, la libertà è la possibilità che abbiamo in ogni momento della nostra vita quotidiana di modellare plasticamente lo stato elettrochimico del nostro corpo.

    Andrea

    Che vuol dire?

    Io

    Per spiegarmi meglio, propongo l’analogia del torneo cavalleresco che ho trovato in “The thinking society” di M.Battaglia e J.Bressan. Immagina il nostro cervello come l’arena dei tornei cavallereschi medioevali.

    Un numero imprecisato di cavalieri partecipa alla tenzone e, alla fine, come in tutti i tornei medioevali che si rispettino, il vincitore sale sul podio del re, bacia la principessa e issa il suo vessillo sul pennone più alto. Nell’analogia, i cavalieri sono gli stimoli esterni e interni, la lotta fra i cavalieri è il processo decisionale, la vittoria di un particolare cavaliere è la scelta di una particolare decisione, l’atto di alzare il vessillo sul pennone è l’attuazione della decisione che corrisponde al tuo alzare il braccio.

    Quando i cavalieri si battono, il vincitore è determinato perché è sempre il cavaliere più forte che vince e prevale sugli altri. Alla stessa maniera, la decisione che si prende in una certa situazione è determinata perché, in quel contesto e in quel momento, è la migliore decisione possibile, quella che necessariamente 'deve' essere presa.

    In altre parole, nella nostra coscienza, emerge sempre la soluzione migliore. Ora, un certo cavaliere ha vinto questo particolare torneo (una certa decisione è stata presa) … ma i tornei non finiscono mai. Nel torneo che ha inizio solo qualche attimo dopo, altri cavalieri si aggiungono alla nuova tenzone rendendone incerto l’esito. Il cavaliere di prima vincerà ancora? Non è detto.

    Andrea

    L’analogia è molto interessante ma mi convince ancora di più della giustezza della mia posizione. Tu dici che è sempre il cavaliere più forte a vincere il torneo, ma questo vuol dire che il vincitore é sempre determinato … dov’è allora la libertà di cui parlavi?

    Io

    La nostra libertà consiste nel fare entrare nell’arena il maggior numero di cavalieri possibile. Siamo liberi di fare entrare in competizione un numero sempre maggiore di cavalieri sempre più valenti e atletici. Questo intedevo dire prima quando ho detto "modellare plasticamente lo stato elettrochimico del nostro corpo".

    Voglio descriverti un torneo cavalleresco che si è svolto in un ristorante qualche giorno fa. Vedrai come, a seguito di una decisione presa, giusta o sbagliata che sia, varia lo stato elettrochimico del corpo.

    Ero tranquillamente seduto sorseggiando un aperitivo quando una decina di cavalieri sono scesi nell’arena.

    C’era il cavaliere Spaghetti allo scoglio, proveniente dalle terre lontane del sud, c’era il cavaliere locale Tris di canederli e tanti altri eccellenti cavalieri non ultimo l’esotico cavaliere Tagliolini all’astice (stimoli visivi esterni provenienti dal menu). Il torneo ha inizio … le schermaglie preliminari già fanno intravedere i cavalieri più valenti, quando, all’improvviso, entra nell’arena un nuovo cavaliere con il vessillo “gli spaghetti allo scoglio che hai mangiato qui l’altra volta erano veramente squisiti” (stimolo interno proveniente dalla memoria). Forte dell’aiuto del nuovo cavaliere, il cavaliere Spaghetti allo scoglio comincia a menar mazzate a destra e a manca disarcionando quasi tutti gli altri cavalieri.

    Il cavaliere Tagliolini all’astice sta per subire la stessa sorte quando un altro cavaliere entra in lizza. Porta il vessillo “guarda il piatto di tagliolini all’astice che stanno servendo al tavolo accanto. Sembra molto buono e, guarda bene, c’è mezzo astice nel piatto” (stimolo visivo esterno). Con l’aiuto del nuovo cavaliere, il prode Tagliolini all’astice disarciona il pur valente Spaghetti allo scoglio. Fine del torneo (arriva il cameriere a prendere l’ordine) e sul pennone più alto viene issato lo stemma del cavaliere Tagliolini all’astice (al cameriere dico “per primo, tagliolini all’astice”).

    Ma il discorso non finisce qui. Il piatto di tagliolini all’astice, alla prova dei fatti, risulta essere un vero disastro: in cucina hanno condito i tagliolini con un mediocre sugo di pomodoro e poi ci hanno appoggiato sopra mezzo astice lesso insapore e inodore. Questa esperienza negativa, frutto della mia decisione necessaria, ha l'effetto di modificare lo stato elettrochimico del mio cervello … 

    Andrea

    … aspetta un attimo … poco prima hai detto “nella nostra coscienza, emerge sempre la soluzione migliore”.  Allora … nella tua mente non doveva emergere la decisione migliore quella più giusta?

    Io

    La situazione nell’arena, all’arrivo del cameriere, è quella che è: un cavaliere, il più valente, è il vincitore del torneo. La decisione che in quel momento affiora dallo stato elettrochimico del mio cervello, dato il contesto, è senz’altro la migliore, ma questo non vuole dire che sia anche quella più giusta.

    Solo ‘a posteriori’ io posso valutare se la decisone presa è giusta o sbagliata. E qui entra in gioco la libertà di cui parlavo prima. La mia conoscenza che in questo ristorante non sanno cucinare i tagliolini all’astice recluta nella scuderia della mia memoria un poderoso cavaliere che porta il vessillo “in questo ristorante non sanno fare il sugo all’astice”. Quando la prossima volta ci sarà un torneo fra i cavalieri del menu di questo ristorante, il cavaliere Tagliolini all’astice farà una brutta fine.

    La nostra libertà, quindi, non agisce nel momento della decisione, ma in ogni momento della nostra vita quando siamo in grado di reclutare cavalieri sempre più valorosi. Come? Mediante l’interazione con il mondo esterno: gli altri, la morale, l’etica sociale, la conoscenza adeguata delle cose, le menti più profonde della filosofia e delle scienze … e andando al ristorante,

    Andrea

    Non mi hai convinto: che la libertà di decidere, di scegliere fra il bene e il male, esiste …  è un dato di fatto, anzi è il dato di fatto su cui si fonda tutta la convivenza civile, dalla politica al diritto, dal sistema educativo all’economia.

    Io

    Fai confusione tra libertà e responsabilità. E’ sulla responsabilità che si fonda tutta la convivenza civile, dalla politica al diritto, dal sistema educativo all’economia. La responsabilità noi la esercitiamo quando, in base a conoscenze acquisite, siamo in grado di creare le condizioni ideali nella nostra mente per decisioni future le più giuste possibili.

    Si può ritenere responsabile una persona quando, tra i numerosi cavalieri che è in grado di far entrare in campo, ce n'è uno che sventola il vessillo “Le regole sociali vanno rispettate”. In caso contrario la persona è ritenuta incapace di intendere e di volere.

    Ora però tutto dipende dalla capacità che, nella mente della persona, il cavaliere in questione ha di imporsi sugli altri. Se è il più forte di tutti, ecco che si imporrà e la persona deciderà di non infrangere le regole sociali. Se invece è debole, finirà disarcionato, e la persona non rispetterà le regole. Ma allora la persona il cui cavaliere rispettoso delle regole ha perso la tenzone, è stata libera nella sua scelta comportamentale? La risposta è NO, perché non ha potuto fare altro che dare retta al cavaliere vincente (uno di quelli che, delle regole sociali, se ne fregano). Se non è stata libera di scegliere, se non poteva agire diversamente, questa persona non può essere, allora, ritenuta responsabile del comportamento antisociale che ha tenuto? Riguardo alla società è senz’altro responsabile e, infatti, giustamente, ne paga le conseguenze. La società, d'altra parte, cerca incessantemente di rafforzare il cavaliere “Le regole sociali vanno rispettate” mediante la legge che non è altro che l'enunciazione delle pene a cui vanno incontro quelli che non rispettano le regole sociali. (contributo di pensiero di Marco Bottini).

     Andrea

    Vuoi dire che noi abbiamo la libertà di imparare e che solo migliorando noi stessi siamo in grado di essere responsabili verso la società. Questa mi sembra una cosa giusta … ma cosa ne è della responsabilità verso Dio? Se non siamo responsabili della scelta del bene o del male come farà Dio a giudicarci?

    Io

    Nei confronti di Dio non ha senso parlare di responsabilità o di colpa da espiare. Anche il più depravato stupratore, nel momento in cui ha commesso il crimine, non poteva fare diversamente: il cavaliere generato dagli squilibri ormonali è particolarmenre potente.

    Il bene e il male sono concetti umani  “… il male non è nient'altro che ciò che fa male a me, ma che non riguarda affatto la ragione del Tutto; il bene è soltanto ciò che fa bene a me, ciò che mi aiuta a vivere, ciò che aiuta il mio benessere, ma non riguarda la ragione del Tutto." (Massimo Cacciari).

    Per Dio il concetto di bene o male non ha senso. Il filosofo Giovanni Rensi scrive in proposito: "Se si guarda la realtà in modo assolutamente obiettivo, […] guardandola NON con i nostri occhi ma con quelli stessi della Realtà Totale se essa ne avesse, non v’è né bene né male, né perfezione né imperfezione, bene e perfezione essendo la realtà com’è, o meglio essendo qualifiche superflue di fronte alla realtà com’è".

    Insomma non abbiamo alcuna responsabilità nei confronti di Dio, né Dio avrà bisogno di giudicarci: le nostre decisioni sono connesse all’eterno presente di Dio, o, se preferisci, le nostre decisioni sono già scritte nella mente onnisciente di Dio.

       

    Luigi Di Bianco

     

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