Storia di Napoli (prima parte)

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    Raccontare le origini di Napoli è sempre un’impresa ardua. Le nostre conoscenze si perdono nella notte dei tempi. Sappiamo che fu tappa di migrazioni elleniche che, fra il VII e VI secolo a. C., di stanziarono prima sull’isolotto di Megaride, e poi si diressero anche verso l’interno.

     

    Il nome ( parthénos = vergine e òpsis = vista) potrebbe derivare dal fatto che i coloni, venendo dal mare e videro una magnifica terra incontaminata e lussureggiante, tanto da darle il nome di Partenope.

     

     

     

    La data di fondazione è stata rialzata, collocandola non più al 470\460 a.C., bensì alla fine del VI sec a.C. prende il nome di città nuova in contrapposizione a qualcosa che c’era prima.

     

    Per quanto ne sappiamo la prima occupazione fu a Pizzo Falcone, che corrisponde alla parte di Parthenope o Palepolis, cioè tutta l’area in cui, nel secondo quarto del VI sec a.C., si erano stanziati dei Cumani. Cuma, insieme a Pithecoussai, è una delle più antiche colonie Euboiche (dall’isola di Eubea – Grecia). Neapolis, nella seconda nella prima metà del VII sec, cade sotto l’influenza cumana che aveva un ruolo preminente. Di qui si controllava il territorio, addetti a questo ruolo c’erano i pineiai (porti) sulla costa, come organo di controllo tra cui Palepolis (città antica), insieme a Pozzuoli e Miseno.

    Nel 524 a.c. la Battaglia di Cuma coinvolse anche gli Etruschi e, intorno a questa data probabilmente a seguito degli esiti, il controllo di Cuma nel territorio viene meno o comunque si indebolisce. stando alla tradizione letteraria, la fondazione di Neapolis (nuova città) risale attorno al 470 a.c. e sarebbe stata opera di più gruppi, comprendenti Cumani, Siracusani, Pithecoussani e Ateniesi e a distanza di circa 40 anni Atene che è il gruppo preminente fonderà Thurii.

     

     

     

    La corrispondenza del nome dell’antica città con quello della sirena Partenope, nel mito di Ulisse, diede origine alla leggenda napoletana delle Sirene e, Dionigi di Alicarnasso e Strabone confermano a pieno questa poetica tradizione che è giunta così fino a noi. In realtà, il mito era stato creato da navigatori e da mercanti che avevano il loro tornaconto a scoraggiare la concorrenza su determinate rotte d’interesse mercuriale. E ad impedire immigrazioni poco gradite.

     

    Questi sono alcuni dati storici/mitologici riguardanti questa sirena:

     

    1) Orfeo aiutato da Afrodite, con la sua lira e il suo canto melodioso protesse la spedizione degli argonauti dai melismi ammaliatori delle sirene (Partenope, Leucosia e Ligia) che attiravano i naviganti per farli perire nei gorghi del mare. Disperate per la sconfitta le tre sorelle si lasciarono fracassare sugli scogli. Partenope sugli scogli dell’isoletta Megaride. I pescatori riconosciutala ne eressero il sepolcro.
    2) Ulisse, lasciata la maga Circe, dovendo passare per l’isola delle sirene, si fece legare ad un albero della nave per poterne udire il canto melodioso ma nefasto. Prima però fece tappare le orecchie dei marinai con la cera. Partenope così sconfitta si precipitò nel mare e annegò. Il suo corpo trascinato dalle onde si depositò sull’isoletta Megaride, sede di Castel dell’Ovo, e qui fu sepolto.
    3) I Teleboi, abitatori di Capri, avendo trovato il suo sepolcro la adorarono ed eressero una città di nome Partenope. I Cumani, per invidia, la rasero al suolo, ma subito fra di loro si propagò la peste. L’oracolo, interpellato, disse di costruire una nuova città, che fu chiamata Neapolis (1029 a. C.) e di ricostruire la vecchia città, che fu chiamata Palepolis. Solo così sarebbe scomparsa la peste.
    4) La frigia Partenope non poté corrispondere l’amore del conterraneo Metioco, avendo fatto voto di castità. Afrodite, irritata da questo rifiuto a lei offensivo perché dea dell’amore, la trasformò in sirena condannata a vagare e cantare sui lidi della Campania, dove poi morì sull’isoletta Megaride.
    5) Licofrone, scrittore greco, e Stazio, latino, narrano che il dio Apollo avesse fatto guidare da una colomba la vergine Partenope fino all’isoletta Megaride. Qui ella fondò una città che dopo la sua morte prese il suo nome. Fu sepolta, pare, nel luogo dove oggi si trova l’ospedale degli Incurabili.
    6) Le tre sirene erano ragazze comuni, compagne di Persefone (figlia di Zeus e Demetra). Plutone innamoratosi di Persefone la rapì non avendo ottenuto il consenso dei genitori di lei. Allora le tre sorelle, per poterla ritrovare, chiesero a Zeus di dar loro le ali.
    7) Partenope, nobile greca, dovette abbandonare la sua terra per una colpa d’amore. Dopo molto girovagare, con alcuni compagni approdò nell’isoletta di Megaride, dove fondò la città che porta il suo nome.
    8) Partenope, bellissima fanciulla greca, dalla soavissima voce, amava, ricambiata, Cimone. Ma suo padre la voleva sposa ad Eumeo. Così i due innamorati se ne fuggirono ed approdarono all’isoletta di Megaride, ove fondarono la città dell’amore e del canto che l’amore propaga.

     

     

     

    Comunque, le due città, crebbero per lungo tempo indipendentemente l’una dall’altra, per quanto fossero di vita, di lingua e di costume perfettamente eguali, e prosperarono entrambe per intensi traffici e per ricche attività mercantili fino alla conquista sannitica.

     

    Fin’ora la cronologia si è basata sulle necropoli di Castel Capuano e le monete, databili quasi all’anno. i nuovi scavi hanno apportato nuovo conoscenze: hanno toccato anche i resti delle ricche mura e il riempimento, cioè se hanno la doppia cortina significa che hanno un riempimento, all’interno del quale c’è una quantità importante di ceramica, databile a qualche decennio prima del 470, data della fondazione, ecco perchè si tende ad alzare la nascita della polis a qualche decennio.

    Il circuito murario è di 3,5 km, 70 ettari (a differenza di Pompei che ne ha 66 e Paestum 120) uno degli elementi più importanti venuti fuori dagli scavi è la presenza del porto antico della città presso l’attuale Pizza del Plebiscito ( Largo di Palazzo o foro Regio), l’altro si trova presso via Mezzocannone. In base ad indagini geologiche la linea di costa doveva rientrare di molto rispetto a quella attuale e lo scavo è stato effettuato oltre 20 m sotto il piano di calpestio.

    Neapolis è un esempio molto importante della persistenza della città antica nella città contemporanea. ci sono 3 grandi Plateiai (strade principali) che costituiscono il sistema di divisione per strigas della polis antica, conservato in maniera piuttosto forte solo in direzione est-ovest e si trovano ad una distanza regolare di 185 m e corrispondono alle attuali via Anticaglia, via dei Tribunali e via S.Biagio dei Librai. Gli stenoporoi (le vie secondarie) hanno una distanza di 35 m più o meno (100 piedi).

    La zona dell’agorà ( la piazza principale) viene localizzata presso l’area di S.Lorenzo, dove è stato individuato il tempio dei Dioscuri, il teatro e l’odeyon, sempre nella parte superiore ( l’agorà è su due livelli perché c’è un salto di quota). L’odeyon è un edificio coperto per esecuzioni di tipo musicale e si adattano anche al canto a solo, nella parte inferiore, in epoca successiva vengono impiantate una serie di taverne. Non se ne conoscono oltre l’età greca, ma sappiamo molte più cose di età romana.

    Un’altra importante novità è stata ricevuta dagli scavi della metropolitana presso piazza Nicola Amore  (Piazza dei Quattro Palazzi), che hanno restituito una situazione complessa, e recuperato solo attraverso una stratigrafia effettuata molto bene. Innanzitutto la situazione più antica prevede una necropoli di bambini, della seconda metà del V sec. con rito dell’incinerazione.
    A tutt’oggi questa situazione aspetta un’interpretazione perché non è una cosa semplice da spiegare che nella città si trovino necropoli solo di bambini, incinerati soprattutto (di solito le deposizioni erano in Echystrismos, ovvero all’interno di anfore) questa parte verrà inglobata e resa visibile nella stazione della metro. Nella stessa area alla fine del IV sec. sorge un santuario con Hestiatorion (sala per bachetti).

     

     

     

    Quando Roma, nel 328 a. C., attuando il suo processo di espansione, cominciò a porre piede in armi nella Campania ed a Napoli per contrastare l’influenza sannitica, la situazione delle due città divenne alquanto difficile, in quanto Napoli si trovò in immediato contatto col nuovo conquistatore, mentre Palepoli ebbe aiuti di uomini e di armi dai Sanniti e da Nola e poté ancora resistere. Stretta, però, d’assedio da parte dei Romani nel 327 a. C., anche Palepoli finì col cadere, come ci ricordano Livio e Dionigi d’Alicarnasso, ed il console romano Quinto Publilio Filone ebbe, così, gli onori del trionfo per la vittoria riportata sui sanniti di Palepoli. Roma vincitrice, tut­tavia, in quell’occasione concesse col foedus neapolitanum una pace vantaggiosa e favorevole, che comprendeva le due città, che da allora in poi non furono considerate che come una sola: Napoli.

     

    Divenuta, così, “città alleata” del popolo romano, Napoli si comportò lealmente nei confronti di Roma. Nel 280 a. C., difatti, poté opporre le sue fortificazioni a Pirro, re dell’Epiro, nella sua spedizione contro Roma, e così fece pure nei riguardi di Anni­bale, nel mentre l’apporto più importante e decisivo dato alla potenza militare romana in quel periodo consistette principalmente nel fornire le navi ed i ma­rinai di cui Roma difettava. Durante la prima guerra sociale Napoli decise di non schierarsi con le città ribellatesi a Roma per ottenere la cittadinanza, in esecuzione della lex Julia municipalis. Come ricompensa per quest’astensione, da foedus aequum, ossia da città confederata divenne, nel 90 a. C., municipium. Un handicap per la sua autonomia, dovendo in alcune occasioni partecipare concretamente alla vita di Roma, ed assolvere ad alcuni doveri (munus appunto), prestando “servizi” e osservando alcune norme, anche se conservò una certa autonomia amministrativa, ed i suoi abitanti acquistarono il diritto alla cittadinanza romana. Travolta per poco nella guerra civile fra Mario e Silla (82 a. C.), Napoli riprese ben presto le sua florida situazione, quale principale emporio commerciale della Penisola, ma essendosi schierata con Mario ed avendo vinto Silla, fu da questi privata della flotta e del possesso dell’isola di Pithecusa (Ischia).

     

    Con l’ordinamento di Augusto, la posizione di quasi indipendenza di Napoli si attenuò ancora di molto, fino a passare nelle condizioni delle altre province dell’impero romano, di cui costituiva un ordinario municipio, per diventare successivamente “colonia” sotto Claudio, titolo che le venne, poi, confermato da Caracalla, quale Colonia Aurelia Augusta Antoniniana Felix Neapolis.

     

    In età Augustea, nel I sec. avviene una ristrutturazione: vengono realizzati un portico e un tempio, localizzati nella zona dei giochi olimpici, istituiti proprio nel 2 sec. a.C., in cui dovevano essere appese le lastre marmoree con l’elenco dei vincitori.
    Malgrado i rapporti assai stretti di carattere politico, militare e commerciale, Napoli non fu mai travolta dalla funzione livellatrice di Roma, e continuò a conservare la sua spiccata caratteristica di città greca, compresa la lingua, con tutte le sue istituzioni civiche, rimanendo tale anche in età più tarde, quando tutte le altre città della Magna Grecia vennero trasformate in città italiche.

     

    E quando la cultura ellenica si affermò in Roma, come ricorda Orazio e la Graecia capta ferum victorem coepit, et artes intulit agresti Latio…, Napoli divenne il centro culturale più importante della Penisola e ad essa trassero i più nobili ingegni di Roma: Orazio, Virgilio, Columella, Marziale, Stazio, che la ricordano tutti, difatti, come terra di delizie e sede di studi tranquilli.

     

    Ad essa venivano quanti desideravano bearsi di un clima mite, di un paesaggio incantevole e di una serena manifestazione dell’esistenza. Napoli ebbe così le ville dei nobili romani, da Lucullo a Vedio Pollione, ed intorno, da Baia a Miseno, da Ercolano a Pompei e da Stabia a Sorrento, si spiegavano le ville patrizie, nel mentre che alle due isole napole­tane – Capri e Ischia – accorrevano ricchi mercanti, patrizi, senatori ed imperatori, fra cui Augusto, Tiberio, Claudio, Nerone, Tito, Adriano, Marco Aurelio e Caracalla, per godere un paesaggio fra i più belli del mondo.

     

    Con la caduta dell’Impero Romano, nel 476, e con le inva­sioni barbariche, Napoli subì le vicende comuni a tutte le città italiane durante quel turbinoso periodo.

     

    Saccheggiata da Alarico, invasa da Genserico e da Odoacre, che vi relegava l’ultimo imperatore romano, Romolo Augustolo, in Castel dell’Ovo, posta a sacco da Belisario nel 536, signoreggiata da Totila nel 542 e da Teia nel 552, entrava, nel 553, dopo la bat­taglia del Vesuvio, nella quale Teia trovò la morte, a far parte dell‘Impero Romano d’Oriente, dipendendo direttamente da Bisanzio, ed accentuando così, il carattere greco che sempre l’aveva distinta. Come capoluogo della Campania, Napoli fu sede del magistrato dipendente dal Prefetto d’Italia, e di un duca dipendente a sua volta dall’Esarca di Ravenna. Essa diveniva, così, la città più importante di tutta l’Italia meridionale, sulla quale esercitava una posizione di preminenza, nell’esercizio della quale tentò più volte di costituire un governo autonomo.

     

    Nel 763, il Duca Stefano I, a seguito delle lotte contro l’imperatore iconoclasta, prima serbando os­sequio a Bisanzio, e poi riconoscendo l’autorità del Papa, riuscì a garantire una sostanziale indipendenza al Ducato di Napoli, che divenne prima elettivo, e poi ereditario.

     

     

     

     

     

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