Il rischio-euro colpisce le Borse. Europa in calcio d´angolo

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    Piccoli passi verso l’integrazione invocava la dichiarazione di Robert Schuman che il 9 maggio 1950 gettò le basi del cammino comunitario, avvertendo che «l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme». E piccoli passi hanno fatto la cancelliera Angela Merkel, il presidente francese Nicolas Sarkozy e gli altri 25 leader europei per permettere ai ministri delle finanze di salvare l’Irlanda, dopo la Grecia, e cercare di ridare fiducia agli operatori.

    Ma in tempi di mercati sotto stress e guerra globale delle valute, di ripresa senza occupazione a occidente e di fiumi di liquidità a oriente, scelte chiare e balzi da gigante nella governance del Vecchio continente sarebbero necessari. Le titubanze di Angela Merkel e i faticosi compromessi con la Bce, la leadership condivisa da un mister Europa proveniente da un piccolo paese da oltre cinque mesi senza governo (il belga Herman Van Rompuy) e da un presidente di Commissione originario di un altro piccolo paese sull’orlo della crisi (il portoghese José Barroso) hanno prodotto quello che potevano. Non sono riusciti insomma a convincere fino in fondo i mercati i passettini di un’Europa che si è data una moneta unica, ma non intende muoversi con decisione verso una vera governance economica condivisa, per non parlare del tabù dell’armonizzazione fiscale o anche solo di emissioni comuni di eurobond.

    Certo qualcosa di buono si è fatto. I paesi dell’eurozona hanno messo a punto un pacchetto di salvataggio di 85 miliardi per Dublino, in collaborazione con Fmi e con Gran Bretagna, Svezia e Danimarca. L’Ecofin ha poi chiarito che si istituirà una rete di salvataggio stabile per i paesi in difficoltà e concordato che dal giugno 2013 anche i privati (leggi le banche) potranno essere chiamati a contribuirvi «caso per caso».

    Un compromesso tra la Merkel che esigeva una partecipazione automatica (e con la sua richiesta rimbalzata dal summit Ue di fine ottobre acuì la crisi irlandese) e la posizione di molti altri paesi più indebitati e della stessa Bce a favore di un approccio più flessibile. Sempre dal giugno 2013 le emissioni di bond si è deciso che vengano accompagnate da “clausole di azione collettiva” (Cac), vincoli che permetteranno agli acquirenti di decidere a maggioranza qualificata su eventuali ristrutturazioni del debito sottoscritto.

    Il breve tratto di cammino compiuto ha dato però un sollievo durato solo lo spazio di un mattino ai mercati e a fine giornata di ieri l’euro è sceso sotto 1,31, le borse europee sono cadute e gli spread tra i paesi più indebitati rispetto ai rendimenti dei Bund sono ieri risaliti. Anche oggi i mercati si muovono in maniera convulsa. Sono riprese a rimbalzare le voci del Portogallo prossima vittima sacrificale e della Spagna ultima “linea del Piave”, boccone troppo grosso da inghiottire (corrisponde al 9% dell’economia europea rispetto all’1,4% di Irlanda e Portogallo e al 2% della Grecia) anche per le fauci del fondo di salvataggio europeo che si è appena allestito. L’Italia per il momento rimane al riparo, ma con un debito al 119% se lo tsunami di una crisi coinvolgerà Madrid difficilmente potrà sorridere all’asciutto.

    Rincuora il fatto che, nonostante i corvi dell’euro abbiano ripreso a gracchiare di qua e di là dell’Oceano, non sia nell’interesse di alcun governo, nemmeno degli Stati Uniti o della Cina, uno sgretolamento della moneta unica che provochi ulteriore instabilità nel mondo e rompa il giocattolo del più ricco mercato comune del pianeta. Ma se gli europei non sapranno darsi un’andatura più spedita, e i paesi più esposti non si arrampicheranno con coraggio sul sentiero delle riforme, il rischio di una rovinosa caduta per tutti si farà purtroppo più tangibile.

    fonte:sole24ore               scelto da michele de lucia

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