IL FESTIVAL DI RAVELLO RISCHIA DI MORIRE

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Il Festival di Ravello, la più importante manifestazione della costiera amalfitana, conosciuta in tutto il mondo, rischia di morire. Riportiamo l’intervento di Stefano Valanzuolo, direttore artistico del Festival.

Qualche giorno fa, in un suo intervento su queste pagine, Domenico De Masi metteva l’accento sull’imbarazzante e, per molti versi, inspiegabile situazione che vive la Fondazione Ravello, priva dei suoi organi consiliari per le mancate nomine da parte di Regione e Provincia di Salerno e, in conseguenza di ciò, impossibilitata ad agire. Io ho avuto il privilegio di dirigere, nel 2009 e 2010, il Ravello Festival, che è il progetto più articolato e visibile, anche su scala internazionale, tra quelli accuditi dalla Fondazione. Se intervengo oggi è per evidenziare il rischio concreto che questa manifestazione possa risultare fortemente penalizzata, già nella prossima edizione, dallo stato di paralisi istituzionale venutosi a creare negli ultimi mesi. Un malvezzo diffuso, specie alle nostre latitudini, induce a credere che un festival sia assimilabile a una sorta di catering culturale (musicale o teatrale che sia), definibile in tempi minimi e con minimo dispendio di energie. Ciò non è vero, per quanto le modalità di finanziamento da parte degli enti locali – a pioggia, e con preavviso impalpabile – abbiano finito effettivamente con il favorire iniziative estemporanee e quasi mai figlie di ipotesi progettuali coerenti (a testimonianza di ciò, valga il bando recente della Regione per gli eventi natalizi). Il Ravello Festival, facendo leva su una struttura organizzativa consolidata e sugli strumenti gestionali propri della fondazione, è riuscito, nel corso di otto edizioni consecutive, a ottimizzare le proprie risorse, consegnando al pubblico e ai media un progetto culturale estraneo alla logica dell’evento mordi e fuggi. Tale approccio virtuoso, tuttavia, non è più perseguibile in assenza di riferimenti certi, economici e istituzionali. Lo stato di impasse in cui versa la Fondazione Ravello, insomma, minaccia seriamente di ledere la portata del Festival, svilendone l’originalità dei contenuti, danneggiandone l’impatto comunicativo, appannandone la visibilità, penalizzandone la forza contrattuale nei confronti degli interlocutori con conseguente inutile aggravio di costi. In una situazione resa già molto difficile dal cronico ritardo con il quale gli enti locali erogano i finanziamenti, si capirà bene come il rischio di sottrarre al mosaico culturale campano un tassello importante diventi assai concreto. Pur nella consapevolezza dei molti problemi che assillano la nostra regione e più in generale il Paese, abbiamo la presunzione di credere che la cultura non sia un’emergenza di categoria inferiore e che anzi essa rappresenti l’ambito sul quale investire in funzione turistica, occupazionale, dunque sociale. La cultura “non si mangia”, come ha detto qualcuno, ma dà da mangiare. E, inoltre, dà da pensare: basterebbe questo per non rinunciare a un bel festival. (Repubblica Napoli)  STEFANO VALANZUOLO


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