VENTI ANNI DALLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO FOTO E VIDEO foto

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     Muro di Berlino

    Positanonews il quotidiano online della Costiera amalfitana e penisola sorrentina dedica la sua apertura da Amalfi a Sorrento alla caduta del Muro di Berlino.

    Venti anni fa il governo della Germania Est decise finalmente che la gente poteva attraversare il confine con Berlino Ovest, oltrepassando il muro costruito nel 1961

    Venti anni fa il governo della Germania Est decise finalmente che la gente poteva attraversare il confine con Berlino Ovest, oltrepassando il muro costruito nel 1961. La fine del Muro di Berlino divenne il simbolo del collasso del comunismo e dell’Unione Sovietica, e il momento che segna la conclusione della Guerra Fredda, che per oltre 40 anni aveva definito il pianeta. Da quel giorno il mondo è  fondamentalmente cambiato e a venti anni di distanza è legittimo chiederci se il mondo stesse meglio prima o stia meglio oggi.

    È una domanda alla quale in realtà ognuno dei nostri lettori è in grado di dare un risposta personale, che inesorabilmente sarà diversa dalle altre, sulla base della nazionalità, della professione, della propria ideologia o religione o forse anche del proprio sesso. La verità è che è impossibile dare una risposta globale, buona per tutti, che sia espressione del parere dei più. Se guardiamo all’Est Europa vediamo realtà che 20 o 30 anni fa non avremmo neanche osato immaginare, la situazione è completamente cambiata, ma i polacchi, i romeni, gli ucraini o i bulgari stanno meglio? In generale sì, perché le mutate condizioni economiche, per molti versi oggi più incerte di allora, sono accompagnate dalla speranza in un futuro ancora promettente.


    La caduta del Muro di Berlino in immagini

    Eppure anche tra i cittadini dell’ex blocco sovietico molti sono i nostalgici, coloro che rimpiangono il salario garantito a tutti e la grandeur militare. E in Africa, che fu negli anni della Guerra Fredda campo di battaglia dove per “delega” si combattevano in chiave locale guerre ispirate e sostenute dalle superpotenze? Gli africani stanno meglio oggi o venti anni fa? Tragicamente occorre ammettere che per gli africani poco è cambiato, male stavano prima e male stanno ora che il continente è visto solo come serbatoio di energia e materie prime delle superpotenze, prima tra tutte la Cina, disposta a foraggiare e a dare legittimità a despoti della peggior specie pur di portare a casa a buon prezzo petrolio e minerali.

    Un cittadino del Darfur o uno della Nigeria sta meglio oggi? Certamente no, per le nazioni più disperate del pianeta la caduta del muro non ha significato nulla, se non il cambio di bandiera dei propri governi, passati dall’essere filo-sovietici o filo-americani ad essere filo-cinesi. E la Cina è la più grande nazione dell’Asia: gli asiatici stanno meglio? Decisamente sì, tra tutti i paesi gli orientali sono quelli che dalla caduta del muro hanno guadagnato di più, fatte salve molte eccezioni, come la Corea del Nord o Myanmar. La Cina, apparentemente senza traumi, è transitata armi e bagagli verso una economia di stampo capitalistico, facendo in sostanza finta di restare un paese comunista con tanto di falce e martello sulla bandiera. Ma è una simulazione che contrasta con il boom economico in corso e con l’apparire di moltissimi nuovi ricchi.

    Nel nuovo mondo globale, la cui nascita è stata possibile solo con la scomparsa del mondo bi-polare simboleggiato dal muro, l’Oriente prospera. L’Occidente viceversa resta a chiedersi se i giorni della paura nucleare fossero davvero così brutti, complice la crisi economica di questi giorni. In fondo una volta sapevamo chi erano i buoni e chi erano i cattivi e tutto sommato del pericolo del MAD (Mutual  Assured Destruction) non importava nulla a nessuno. Bombardieri B52 vagavano sui cieli dell’Artico trasportando testate nucleari pronte allo sgancio e le rampe di lancio russe erano perennemente puntate sull’Europa occidentale, ma per l’uomo della strada la vita continuava senza che il panico da olocausto nucleare ne condizionasse l’esistenza.

    C’erano almeno alcune certezze che oggi non abbiamo più, sapevamo chi era il nemico e dove si trovava (in genere abbastanza distante da casa nostra, magari nelle giungle del Vietnam) e sapevamo che l’America ci voleva tanto bene, anche se intuivamo che era solo perché eravamo una pedina fondamentale dello scacchiere europeo, in prima linea nel caso l’orso sovietico decidesse di impadronirsi dell’Europa.

    Oggi non è chiaro dove sia il nemico, né siamo più così importanti come difensori dell’alleanza occidentale, visto che tra poco quasi tutti i paesi ex nemici entreranno nella NATO. Viviamo atterriti da paure che venti anni fa non avevamo, quando il terrorismo palestinese era una faccenda che tuttalpiù interessava qualche aereo in volo su paesi esotici. In compenso le tensioni sociali interne ci avevano regalato la cupissima stagione degli anni di piombo, facendoci scoprire che i terroristi non si chiamavano solo Abu o Yasser ma anche Mario o Giusva.

    La crisi economica che attanaglia oggi l’Occidente può farci pensare che Europa ed America stessero meglio ieri, insomma siamo nel momento peggiore per poter fare un paragone tra il prima ed il dopo muro. La stessa domanda fatta dieci anni fa avrebbe forse avuto risposte più facili, non condizionate dalla situazione internazionale post Torri Gemelle. Oggi capire se il collasso del sistema costruito sul confronto tra due superpotenze abbia giovato alla qualità della vita di ogni uomo è quasi più un esercizio filosofico, la cui risposta può risiedere solo nei cuori dei singoli.

    foto e testo tratto da affaritaliani.it

     

    La capitale tedesca rievoca la ritrovata unità ma esalta allo stesso tempo il suo dinamismo

    BERLINO — In queste ore Berlino si sente unica, speciale come capita a chi sa di essere sotto gli occhi del mondo. E tutta la Germania è in festa per celebrare i vent’anni di una data della quale finalmen­te non si deve vergognare. An­zi, una delle date più belle del drammatico Ventesimo Seco­lo: il 9 novembre 1989, quan­do cadde il Muro e si trascinò all’inferno Cortina di Ferro, co­munismo, Guerra Fredda. Og­gi saranno in città decine di leader politici: quasi tutti i go­vernanti europei, il presidente russo Dimitri Medvedev, la se­gretario di Stato americana Hil­lary Clinton. Non ci sarà Ba­rack Obama, che ha preferito un viaggio in Asia. Ma impor­ta poco: sarà soprattutto una festa di popolo, quello che la notte di vent’anni fa lasciò alli­bito il mondo quando iniziò ad attraversare la frontiera da Est a Ovest.

    Il cuore delle celebrazioni sa­rà la Porta di Brandeburgo, simbolo della divisione in due dell’Europa per almeno qua­rant’anni. Lì, il Muro cadrà di nuovo: più di mille parallelepi­pedi di polistirolo alti due me­tri e mezzo, dipinti da artisti ma soprattutto da giovani stu­denti, sono stati installati da due giorni, pronti a cadere ver­so sera in un effetto domino che passerà per il Reichstag, la Porta di Brandeburgo, il me­moriale all’Olocausto e arrive­rà nella Potsdamer Platz. Il Mu­ro passava di lì e questi sono simboli potentissimi della sto­ria che respira ogni giorno chi cammina per la città. La spinta alla prima pietra del domino la darà Lech Walesa: all’estre­mo opposto, a ricevere l’ulti­ma tessera, ci sarà il presiden­te della Commissione europea José Manuel Barroso.

    La capitale tedesca oggi glo­rifica implicitamente anche se stessa. La più colpita tra le cit­tà europee dalla combinazione della tragedia nazista e del regi­me comunista che l’ha divisa in due per 28 anni, inizia final­mente a trovare la sua identità, molto più che nell’anniversa­rio del decennale, quando era ancora un cantiere sociale e po­litico. Oggi non è solo una del­le capitali del mondo: è soprat­tutto la più diversa, sul confi­ne tra l’Occidente e la steppa russa, cancello delle culture eu­ropee più originali, meta dei giovani, degli artisti poveri e di chiunque disperato va in cer­ca di un simbolo di libertà. La festa di oggi si chiama appun­to Festa della Libertà.

    Dopo il grande domino, si terrà una catena umana, poi un concerto alla Porta di Brandeburgo, diretto da Daniel Barenboim con l’in­tervento di Klaus Maria Brandauer. Poi, i fuochi d’artificio a chiusura di alcune giornate che hanno visto un grande concerto degli U2, la catena di fazzoletti annodati, simbolo di lacrime, addii e divisioni, il restau­ro dei graffiti sulla porzione più lun­ga di Muro rimasta in piedi, la East Side Gallery. Non è che i politici, ricevuti da Angela Merkel, oggi ascolte­ranno solo la musica. Tra loro parleranno di Iran e Afghani­stan. E vorranno mandare mes­saggi planetari. Ma da Berlino ne esce uno che non appartie­ne ad alcun uomo o donna di governo: come ha detto il sin­daco Wowereit, questa città racconta che i Muri possono cadere, ovunque e non impor­ta quanto siano alti.

    corriere.it             inserito da michele de lucia

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