Transessuali: in lista d’attesa per cambiare sesso

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Chiedo scusa, ma ancora non ho trovato delle camicie che si stirino da sole”. Cristiana fa strada attraverso il soggiorno dove, in un angolo, l’asse da stiro è coperta da biancheria da mettere in ordine. Un dettaglio fuori posto in una casa profumata di pulito e scaldata dalla presenza di amici che arrivano per il caffè. “Perché hai cambiato sesso, tu? Ma se sei sempre stata donna!” scherza Federico, passato per la consueta visita. Già, perché l’argomento della conversazione intorno al tavolo della cucina è proprio questo: la nuova vita di Cristiana, anzi, la sua “rinascita”, come la definisce lei. Un evento che porta la data 28 gennaio 2008 quando, al Cedig di Trieste (Centro universitario per la diagnosi e la terapia dei disturbi dell’identità di genere) questa signora dai lunghi riccioli biondi ha avuto dalla chirurgia il sesso che la natura non le aveva dato.
Sono 213 le persone che, dal 1994 al dicembre 2007, soltanto nel centro di Trieste, si sono sottoposte all’intervento per la “riassegnazione chirurgica del sesso”, come lo definisce la legge 164 del 1982 che garantisce la copertura economica dell’operazione da parte del sistema sanitario nazionale (costo, circa 15 mila euro). E sono 987 coloro che sono venuti al mondo maschi o femmine, ma che hanno deciso di rinascere chirurgicamente come donne e uomini nei centri Onig (Osservatorio nazionale sull’identità di genere) che, partendo nel 1992 da Torino, sono poi stati aperti a Roma, Napoli e da ultimo, nel 2004, a Bologna. Nonostante la variazione di sesso venga fatta anche in altre città, Milano in testa, in molti per accorciare i tempi emigrano a Londra, Barcellona e Belgrado.
“Nel mondo una persona su 12 mila è transessuale da uomo a donna, mentre una su 30 mila lo è da donna a uomo” si legge in uno studio pubblicato a novembre dall’Università di Parma. Nel nostro Paese, secondo una stima di Marcella Di Folco del Movimento italiano di identità transessuale, gli individui nati in un corpo in cui non si riconoscono sono circa 30 mila e crescono al ritmo del 10 per cento all’anno le persone che si rivolgono a centri specializzati, come il consultorio che il Mit gestisce presso la asl di Bologna.
“Si ricorre di più all’intervento di variazione del sesso perché le risposte sono sempre migliori” spiega Carlo Trombetta, 51 anni, l’urologo genovese che da Trieste guida l’avamposto medico riconosciuto tra i più avanzati del mondo, come emerso a marzo nel congresso internazionale che ha riunito a Milano 12 mila urologi. Il professor Trombetta è anche lo specialista che ha operato Silvia, definita la vincitrice morale del Grande fratello, che con la sua dignitosa partecipazione al reality show di Canale 5 ha contribuito, forse, a smussare lo stereotipo che vuole i transessuali come “animali notturni” che si vendono nelle periferie metropolitane. “La prostituzione, enfatizzata, è una leggenda metropolitana” spiega Vittoria Colonna, tra i fondatori, a Torino, del primo centro italiano “dove i transessuali sono stati trattati da individui nella loro interezza” e nel quale “la prima persona a essere operata è stata un sacerdote ligure, accanto a professionisti con un’esistenza assolutamente normale”.
“Ora posso andare in giro guardando il mondo direttamente in volto. Anche prima lo guardavo negli occhi, ma speravo di non essere visto”. Riccardo ha 42 anni, lo sguardo azzurro intenso. “Pensavo che tutti si accorgessero e vedessero il mio “difetto”, il sentirmi uomo in un corpo di ragazza” continua. Indossa un maglioncino grigio e sul viso ha una peluria leggera, non ancora diventata barba. “Ho una compagna e a maggio sarà un anno che mi sono operato: ho fatto l’asportazione del seno e la variazione dei genitali in un unico intervento. È stato molto doloroso, e al dolore fisico ho dovuto aggiungere quello che viene dagli sguardi di chi non capisce”.
Riccardo appartiene a quella minoranza di transessuali “F to M”, come dicono gli specialisti, che cioè da femmine diventano maschi. Ed è proprio questa la sfera in cui la tecnica chirurgica non ha preso ancora un indirizzo univoco e le complicanze sono notevoli. “In chirurgia, quando ti dicono che c’è un solo modo per far le cose, vuol dire che è quello giusto. In caso contrario, significa che l’optimum non c’è” dice ancora il professor Trombetta, che al suo centro di Trieste ha una lista di attesa di due anni anche perché con la tecnica messa a punto con il collega Belgrano può garantire agli uomini che diventano donne una vita appagante anche dal punto di vista del piacere fisico.
“Io sono orgogliosa della mia condizione” afferma Fabianna Tozzi Daneri, 39 anni, un passato di uomo e di parrucchiere, un presente di impegno politico, come esponente delle associazioni trans di Livorno e operatrice del neonato consultorio transgender di Torre del Lago, presso il centro medico Exagon. Operata cinque anni fa, Fabianna da tre è moglie di Marco, un operaio di due anni più grande, “che si è innamorato di me prima dell’intervento, a prescindere”. Questa coppia conduce un ménage felice, eppure è proprio il sospirato intervento la ragione della fine di tante relazioni. Lo sottolinea la psicologa Laura Scati, che fa parte del gruppo di lavoro del Cedig di Trieste, e lo conferma il professor Augusto Ermentini, 80 anni, già ordinario di psichiatria all’università di Brescia e tra i precursori dello studio del transessualismo nel nostro Paese. Cattolico, continua a curare da psicoanalista le persone operate, specie quelle che hanno una relazione di coppia. “Sì, molte volte poi il rapporto si rompe, ma questo succede anche tra le persone cosiddette normali quando per esempio la donna ha subito l’asportazione dell’utero. Per il maschio un fatto del genere ha un alto valore simbolico, lo vive quasi come una castrazione. Dunque conservare un legame è difficile”. Rifiutati prima, i transessuali corrono dunque il rischio di subire anche dopo una doppia e lacerante ferita.
Se all’origine del transessualismo vi sia un’esperienza di violenza fisica o psicologica subita nell’infanzia è l’interrogativo cui ha cercato di dare risposta uno studio condotto, all’ospedale di Trieste, da Patrizia Romito, docente di psicologia. “La violenza subita nell’infanzia” afferma “non spiega il disturbo di identità di genere. È certo invece che chi è diverso è esposto, sempre, al maggior rischio di maltrattamenti e aggressioni”. Comparando le testimonianze di 50 individui che hanno subito l’operazione di variazione del sesso e altrettanti pazienti di diversi reparti dell’ospedale triestino, Romito e tre sue allieve che su questo tema si sono laureate sono giunte a questa conclusione: “I trans subiscono violenze di ogni tipo, comprese quelle da parte degli impiegati degli uffici pubblici e dalle forze dell’ordine. Sono soggetti a maggiori problemi di salute mentale e sono esposti alla depressione e al tentato suicidio, ma al momento dell’intervista hanno dato un’analoga valutazione sulla felicità della loro vita rispetto agli altri pazienti”.
Cristiana e la sua felicità, dunque, come fanno i conti con la realtà? “Due anni fa ero in vacanza a Stintino e avevo finito i soldi. Ho il Banco posta e sono entrata in un ufficio postale per fare un prelievo. Quando ho mostrato i miei documenti, l’impiegata mi ha detto: guardi che mi deve dare i suoi, non quelli di suo marito. Sulla carta di identità, in effetti, c’era il mio nome da maschio e si è creato un po’ di imbarazzo. Ma poi l’impiegata ha capito e l’equivoco si è risolto”. Cristiana aspetta adesso i nuovi documenti con le generalità di persona rinata (”D’ora in poi dovrò festeggiare due compleanni”) ma nel frattempo ha seguito i suggerimenti di amici carabinieri e alla voce “segni particolari” ha fatto scrivere: “Sembianze femminili”. E ha un futuro prossimo con un grande progetto: “Sto con un ragazzo di 34 anni, dopo una lunga relazione con un uomo che non mi ha dato un rapporto pieno, una convivenza soddisfacente. Il mio nuovo partner, invece, vuole sposarmi: è stato lui a chiedermelo, dice che vuole darmi una manifestazione tangibile del suo sentimento per me”.
Ma prima che con i fidanzati, le difficoltà nascono in famiglia. “L’unica colpa che mi sono fatta è di non avere capito subito come aiutare mia figlia”. Brunella è mamma di una studentessa universitaria, vivono insieme in una città del Centro Italia e insieme stanno affrontando l’iter che porterà Maria all’intervento. “Capire quel che mia figlia stava attraversando è stata un’emozione violenta: i genitori sono spesso gli ultimi a rendersi conto dei disagi dei loro figli. È stata lei, a un certo punto, a chiedere aiuto: aveva 18 anni e non ce la faceva più a vivere. Sapevo di questa realtà quel che sanno tutti, cioè poco”.
Maria, la figlia, aggiunge: “Il tribunale mi ha dato l’autorizzazione all’intervento e nella sentenza sono riuscita a far inserire anche l’operazione per la mastoplastica additiva: questa estate avrò la terza misura di seno”. Continua a studiare e, piano piano, sta allacciando nuovi rapporti, abbandonando insieme con il corpo che aveva anche la vita e le amicizie di prima. Troppo doloroso spiegare, troppo difficile farsi accettare.

fonte:panorama.it

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