Le Processioni della Settimana Santa in Penisola Sorrentina foto

Più informazioni su


    Fra poche ore, come vogliono la fede e la tradizione, si rinnoverà il suggestivo momento delle Processioni della Settimana Santa in tutta la Penisola Sorrentina, testimonianza di una profonda fede cristiana, radicatasi lungo i secoli.


    Le strade, le vesti, i simboli, i canti saranno quelli di sempre; sotto il cappuccio ogni confratello risentirà il respiro di suo padre, di suo nonno, del suo trisavolo che non ha mai conosciuto e di tanti che dal fondo dei secoli ci hanno trasmesso questa santa tradizione.

    I primi cortei degli incappucciati percorrerrano le strade della penisola la sera del Giovedì Santo, facendo visita ai sepolcri, oggi più giustamente denominati “altari della reposizione”, dove è esposto Gesù Eucarestia. La notte che precede l’alba del Venerdì Santo le Processioni accompagneranno la Madonna in cerca del Figlio, mentre la sera del Venerdì Santo sfileranno le Processioni del Cristo Morto, che rappresentano la partecipazione commossa alla Passione del Cristo ed al dolore della Vergine Addolorata.

    Sorte come fatto spontaneo intorno al 1200 quando un gruppo di Confratelli seguiva, con abiti comuni, una croce recandosi in visita ai sepolcri, si sono sviluppate e perfezionate nel corso dei secoli arricchendosi durante il 1500, sotto la dominazione spagnola, dei simboli della Passione: i martiri o misteri. In tale periodo da massa in movimento si trasformarono in veri e propri cortei, così come sono stati trasmessi a noi.

    E’ bene precisare che le Processioni della Settimana Santa non sono manifestazioni folkloristiche o antiche rappresentazioni, ma gesti di fede, che i nostri padri ci hanno trasmesso e di cui stiamo purtroppo perdendo il senso. Presi dal vortice della vita quotidiana spesso dimentichiamo che la vita è un cammino senza sosta verso Dio ed il mettersi in cammino da parte di alcuni cristiani portando immagini sacre esprime innanzitutto questa grande realtà. In quello sfilare c’è dietro un credere, un patire con Cristo. La Processione è preghiera, è una liturgia ed ha bisogno di raccoglimento; il cappuccio calato sul volto crea uno spazio sacro e segreto in cui ognuno può incontrare il suo Dio, Colui che i cortei del Giovedì e Venerdì santo raccontano, al Quale sono rivolti gli inni ed il Miserere, il cui Nome è sulle labbra e nel cuore dei confratelli, muove – come un vento – la vela e le fiaccole, si agita sotto i cappucci e nelle note della banda, è scritto sui vassoi dei martìri, sui petali dei fiori e negli occhi dei partecipanti, dai bambini agli adulti.

    Oramai manca davvero poco. I cori, dopo lunghe prove, sono accordati ed i lampioni lucidati, pronte le cerimonie di uscita e l’ordine dei portanti, le vesti consegnate e gli incarichi affidati, è in atto il conto alla rovescia per il primo rullo di tamburi.

    Ad un segno convenuto scenderà, come un sipario, il cappuccio sul volto di tutti, scomparirà il mondo e le sue lusinghe. Sotto la  tradizionale veste, che in termini tecnici si chiama “sacco” non c’è più alcuna distinzione, non esiste più il ricco ed il povero, il giovane e l’anziano, il professionista e l’operaio, ma tutti sono fratelli. Dietro il cappuccio potremo trovare il volto rugoso del contadino, quello scavato dalla salsedine del pescatore o quello imberbe del tredicenne. Il sacco ha lo stesso taglio, lo stesso colore, sarà in tutto uguale a quello degli altri: è la veste dell’uguaglianza. Ma il sacco è innanzitutto una veste penitenziale che esprime, in fondo alla Quaresima, quanto si è ripetuto più volte dal Mercoledì delle Ceneri: siamo peccatori, dobbiamo convertirci! Nell’antichità, quando non era così facile confessarsi, coloro che chiedevano il perdono della Chiesa indossavano per tutto il tempo della Quaresima un sacco che li faceva riconoscere come penitenti, candidati al perdono che veniva amministrato nel triduo pasquale. Nel libro di Giona è raccontato che, alla predicazione del profeta, tutta la città di Ninive indossò il sacco in segno penitenziale, dal re all’ultimo suddito.

    Il sacco della fratellanza è anche una veste povera. Non porta la firma di grandi stilisti, non è sottoposta alle tendenze di stagione. La veste che verrà indossata quest’anno è la stessa dell’anno scorso, ha lo stesso taglio di quella che indossavano i nostri nonni e che in futuro sarà consegnata ai figli dei nostri figli. E’ una veste povera che ricorda che l’uomo non è importante per l’abito che indossa, per le firme con cui arricchisce il suo guardaroba, ma perché Dio stesso ha firmato il suo corpo ed il suo cuore all’atto della creazione. Le vesta povera farà scoprire che non si vale per ciò che si ha, ma per ciò che si è: figli di Dio. Il sacco, veste povera, è uno schiaffo alla vanità ed alla smania di apparire: bianca, nera o rossa, sarà un richiamo all’essenziale che è invisibile agli occhi.

    Quella veste è, infine, un segno di appartenenza, un distintivo, un modo di riconoscere una fratellanza dall’altra, tanto è vero che nel linguaggio popolare ogni Processione prende nome dal colore delle vesti dei confratelli: “la nera”, “la bianca”, “la rossa”.

    C’è dunque odore di Processioni, in queste ore si respira una reale fragranza composta da profumi primaverili mescolati a resine di croci e lampioni, dall’odore acre della cera che si consuma lentamente nelle fiaccole.

    Fra poco per le nostre strade si sentirà il frusciare delle vesti, il tintinnio degli incensieri d’argento, il fluttuare delle “bacchette” cerimoniali e l’ondeggiare del coro del Miserere, il crepitare delle fiaccole”, il rumore dei passi.

    I lunghi e mesti cortei di incappucciati che attraverseranno le nostre strade offrono rari e suggestivi richiami di Fede e creano un’atmosfera di sentita emozione e di grossa suggestione.

    Non è un antico copione da recitare a memoria, anche se le componenti sono per lo più quelle di sempre, si tratta di una tradizione, termine che definisce non un reperto archeologico, ma un fenomeno umano radicato nel passato e proteso verso il futuro e questo ancora di più quando si considera l’aspetto religioso e di fede.

    Anche quest’anno un popolo si pone in cammino sulle “vestigia degli antichi padri”.

    La tradizione delle Processioni, che pure si è sedimentata attraverso vari secoli, è una eredità che abbiamo ricevuto e che dobbiamo trasmettere ad altri non come una memoria, ma come “memoriale”, termine propriamente eucaristico con cui si intende un evento passato che si riattualizza nel presente e che ci invita a guardare oltre.

    Auguro a tutti di vivere questi due giorni forti della Settimana Santa con lo spirito giusto, in modo da lasciarci impressionare il cuore e non solo le pellicole fotografiche.

    Credo che sia giusto concludere citando dei versi del grande e compianto Padre David Maria Turoldo, che ci fanno capire l’importanza e la sacralità di questo tempo che stiamo per vivere.

     

    A stento il Nulla

    No, credere a Pasqua non è

    Più informazioni su

      Commenti

      Translate »